Ma davvero il Mezzogiorno è stato colonizzato dal Piemonte? L’Italia è
stata fatta contro il Sud? I meridionali erano ostili all’Unità
nazionale? Da quando il volume di Pino Aprile, Terroni (Piemme), ha
avuto il successo che ha avuto, al Sud è iniziata una sorta di
resurrezione culturale neo borbonica. I mali storici del meridione hanno
(ri)cominciato a essere interpretati da giornalisti, saggisti e
politici come il risultato di una razzia compiuta dai settentrionali nei
confronti del meridione. La nostalgia è tornata di moda. Tanto che il
Mezzogiorno, prima della calàta del podestà straniero, è dipinto come un
paradiso saccheggiato da diavoli, una terra prospera immiserita dalla
cattiveria degli invasori. I campani, i calabresi, i siciliani? Non
sapevano nemmeno cosa fosse l’Italia.
Il patriota e la maestra di Vito Teti (Quodlibet, 28 euro, 366 pp.),
antropologo dell’Università della Calabria, mostra invece una verità
completamente diversa. Quella dei giovani che lottarono e morirono per
fare l’Italia al Sud. Scontando anni e anni di prigione. Più la fame, i
tormenti, le torture... per l’ideale di una nazione unita. Vito Teti
racconta tutto questo riscoprendo la misconosciuta storia d’amore e
ribellione di Antonio Garcèa e Giovanna Bertòla ai tempi del
Risorgimento (questo è il sottotitolo del volume).
Il primo è un ribelle calabrese che durante l’insurrezione di Napoli del
1848 vestiva ancora la divisa di sergente dell’esercito borbonico. Dopo
essere passato dalla parte degli insorti, re Ferdinando ordina
espressamente ai suoi uomini di cercarlo e impiccarlo. Ma senza
successo. Garcèa inizia la sua processione patriottica in Calabria e in
Sicilia per l’organizzazione della rivolta nazionale. Che lo porterà a
scontare una galera durissima, prima dell’esilio nel Regno Unito e del
rientro in Italia, dove si unirà ai Mille, una volta arrivati in
Calabria.
Giovanna Bertòla è invece la donna che Garcèa sposa quando l’Italia è
fatta. È una sorta di femminista ante litteram, che raccoglie le memorie
del marito e le trascrive in un volume sconosciutissimo, che è stato
una delle fonti principali del saggio di Teti. Il quale raccontando
questa storia (che sarebbe perfetta per un romanzo storico) mostra in
filigrana la passione civile che animava le giovani élites meridionali,
cresciute nella temperie dell’illuminismo napoletano (più interessante
di quello settentrionale, secondo Teti) ma capaci di connettersi e
orientare l’umore delle
classi più basse. Che, a dispetto degli stereotipi, sono capaci di farsi artefici del proprio destino.