Recensioni / I mattoidi italiani di Paolo Albani

Qualche anno fa l’amico Teo Lorini mi invitò a Verona per una conversazione pubblica con Paolo Albani, che non avevo mai incontrato ma che conoscevo come autore di libri strani e permemolto attraenti, tra i quali Mirabiblia. Catalogo ragionato di libri introvabili, curato da lui e da Paolo della Bella: un inventariodi libri inesistenti citatiin libri veri diautori di tutte le epoche. Il volume, che usciva nella veste editoriale consueta per i dizionari e le enciclopedie Zanichellicreavaungradevoleeffetto distraniamento.
Mi recai dunque a Verona con molta curiosità e con una certa aspettativa che, una volta tanto, non andò delusa. Anzi, dopo aver scoperto in Albani un serio docente universitario di economia politica, il dialogo si spostò ben presto dalle follie bibliografiche a quelle accademiche, con vicendevoli narrazioni di aneddoti non meno esilaranti, sebbene provenienti da diversi ambiti disciplinari. Da allora Albaninonha interrotto le sue indagini nei territori più bizzarri dell’ingegno umano che hanno prodotto, tra le altre cose, il Dizionario degli istituti anomali delmondo.Èperò uscito in questi giorni un suo ennesimo repertorio che merita molta attenzione: si tratta de I Mattoidi italiani (Macerata, Quodlibet, 346 pp. 16 euro) e, dopoi vari e trionfanti cataloghi del genio italico che ci affliggono a ogni centenario, c’è proprio di che gioire. Qui si trovano matti veri e propri, le cui trovate non hanno avuto fortunatamentealcun seguito e cuinessunodotato disenno si sognerebbe di dedicare una via o una scuola o una celebrazione (ma anche di questo, dati i tempi, meglio non essere troppo sicuri). Come ci informano le puntuali note di Albani, la selezione dei materiali è stata drastica ed è avvenuta in base a un criterio stabilito da Raymond Queneau, nume tutelare di questo tipo di ricerca: il «folle letterario» è «un autore edito le cui elucubrazioni si allontanano da tutte quelle professate dalla società in cui vive, sia da tale società nel suo insieme, sia dai diversi gruppi che la compongono...
In breve,un folle letterario nonha né maestri né discepoli». Il mattoide è insomma un fenomeno isolato.
Il volume procede per categorie: «Linguisti e creatori di lingue universali»; «Astronomi, fisici escienziati in generale»;«Poeti, drammaturghi e romanzieri» eccetera.
Si trova propriodi tutto, dal frate Emiddio Manziche nel 1852 pubblica La gigantologia, in cui sostiene appunto l’esistenza dei giganti appellandosi all’autorità di Sant’Agostino, al filosofo Luigi Carnovale che nel 1920 se ne esce con il trattato «Soltanto l’eliminazione della neutralità potrà subito e per sempre impedire le guerre» (naturalmente gli Stati Uniti d’America dovrebbero rinunciare per primi a tale prerogativaedarecosìl’esempioatutte le altrenazioni).
C’è poi l’operaio-pensatore Alfonso Jovacchini, che nel suo «Il paradiso della scienza nel Regno del Cielo e della Terra» (1911) afferma che il nostro sistema solare sta per uscire dalla sua galassia abituale per dirigersi verso la Costellazione di Ercole, dove giungerà dopo un lunghissimo viaggio. Là troverà «un ambiente più ricco di luce, di calore e di energie elettriche» dove uomini e animali si rinvigoriranno e la benevolenza sconfiggerà ogni cattiveria. E c’è di più: la religione scientifica sarà la religione dell’avvenire «perchéessanonèincontraddizioneconla verità e con le leggi dell’Infinito vivente». Qui è interessante osservare come il pensiero positivista sia fatto proprio dal fantasioso operaio che risulta essere in contatto con il filosofo Roberto Ardigò già nel 1884.
Al filologo piace invece ritrovare Bernardo Bellini, noto per avere collaborato con Niccolò Tommaseo al celebre e ancora utile Dizionario della lingua italiana.
Attorno alla metà dell’Ottocento Bellini riscrive l’Inferno e il Purgatorio danteschi ambientandoli nel Risorgimento italiano: Caronte diventa il maresciallo Radetzky; il conte Ugolino e l’arcivescovo Ruggieri diventano il re diFrancia e il Borbone di Napoli e così via. Ma il fatto più singolare è che le rime del modello sono rigorosamente mantenute, con effetti talvolta
degni di nota. Basti il famigerato inizio del settimo canto dell’Inferno: «"Pape Satàn, pape Satàn aleppe", / Urlò Radetzky con la voce chioccia, / Né degli arcani accenti il senso ei seppe».
Alla fine, sembra che la ricerca condotta dall’illuminista Albani con dedizione tassonomica e con levità di stile domini la vertigine del reale e della sua follia, almeno per qualche pagina, in una veglia che si spera possa scongiurare la generazione di nuovi e più inquietanti mostri.

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