Il lettore italiano possiede indubbiamente una conoscenza indiretta
dell'esistenza e dei contenuti salienti delle lezioni heideggeriane
friburghesi del semestre estivo 1920 oggetto della recensione
(pubblicate nella Martin-Heidegger-Gesamtausgabe, Bd. 59, V.
Klostermann, 1993, a cura di C. Strube) grazie ai riferimenti presenti
in un denso testo della maturità del filosofo di Meßkirch ("Da un
colloquio nell'ascolto del Linguaggio", in In cammino verso il
linguaggio, Mursia, Milano 1990). Che Heidegger si decidesse a citare il
corso a più di trent'anni di distanza ci assicura retrospettivamente
del fatto che con questo ciclo di lezioni - il cui titolo, nella presente traduzione, viene reso correttamente a
differenza del lacunoso e assai poco perspicuo Espressione e fenomeno
impiegato nel testo sopra ricordato - l'immane sforzo dell'Autore di
disarticolazione delle filosofie neo-kantiane del soggetto a lui coeve e
all'interno delle quali si era formato - Scuola di Marburgo (Cohen,
Natorp ecc.) e Scuola di Friburgo-Baden (Windelband, Rickert ecc.) -
avesse raggiunto un punto di non ritorno nella sua operazione di
destrutturazione della metafisica occidentale, già ampiamente preparato
dai corsi del 1919 (tradotti in italiano nel volume Per la
determinazione della filosofia, Guida, Napoli 1993). In questi snodi
accademici cruciali, l'ambito della dimensione esperienziale del
soggetto trascendentale, con la sua asfittica auto-referenzialità
logicistica di derivazione fichtiana ed hegeliana, si rivela infatti al
giovane docente inadeguato ad accogliere la portata rivoluzionaria della
'costituzione' del soggetto mondanamente centrato nella "vita
effettiva". Heidegger si era formato sì con Rickert e Lask ma già molto
precocemente si era cimentato nel compito di trovare, con la
dissertazione su Duns Scoto e la successiva lezione di abilitazione sul
concetto di tempo, in una personalissima declinazione/riscrittura della
rickertiana 'filosofia dei valori' ispirata alla diltheyana storicità
piena e concretamente esistenziale dello spirito vivente, una via
d'uscita trans-logica, metafisica alla staticità del soggetto meramente
conoscente, astrattamente teoretico. Da qui, una decisa virata verso,
appunto, la "vita effettiva" - faktischen Leben, nel 1919-20 ancora
categoria della 'vita' ma che diventerà, dapprima, nel corso del 1923,
Dasein ("Dasein (faktischen Leben) ist Sein in einer Welt"),
successivamente, in quello marburghese dedicato alla Retorica
aristotelica, Befindlichkeit, per giungere poi in "Sein und Zeit",
all'interno della definitiva configurazione dell'Esserci, a
stabilizzarsi nella Befindlichkeit come 'situazione emotiva' e nella
Faktizität ('effettività' nella traduzione di P. Chiodi) come struttura
della Cura - organizzata nella triplicità di 'mondo circostante'
(Umwelt), 'mondo comune' (Mitwelt) e 'ipseità mondana' (Selbstwelt).
Tale costituzione è, nella sua 'problematicità', afferrabile solo in un
risveglio dell' "attenzione" costante all'esistere (pp. 36 e 86), in una
"preoccupazione" (Sorge, p. 144 e, nella recensione, coeva, alla
Psicologia delle visioni del mondo di K. Jaspers, Bekümmerung) vòlta a
rendere insicura la 'quotidianità' di ogni singolo esserci; anche se il
neo-kantismo si ostina a rimuovere tale carattere sconcertante nelle
movenze ammalianti e tranquillizzanti della lotta per i 'compiti
culturali' (p. 144) e per la strutturazione di un cosmo valoriale
assoluto avulso dal 'tormento cairologico' della 'vita' (ma su
quest'ultima dinamica sarebbe necessario approfondire il corso del
semestre invernale 1921-22 sulle Interpretazioni fenomenologiche di
Aristotele, Guida, Napoli 1990 che prelude alla rivalutazione della
tensione messianica del cristianesimo delle origini avviata nel corso
del 1920-21 sulla "Fenomenologia della coscienza religiosa").
Significativamente (ibidem), Heidegger scrive: "Mondo circostante, mondo
comune e ipseità mondana non costituiscono un'area dell'essere non
determinata sotto qualche aspetto. Ogni realtà riceve il proprio senso
originario dalla preoccupazione del sé. Le modalità dell'avere e del
rimuovere il mondo circostante sono connesse con la modificazione della
preoccupazione del sé. La preoccupazione del sé è una costante cura
(Sorge) intorno allo scivolar via dall'origine".
La categoria di "vita effettiva", dunque, individua un originario
fenomeno - l'esistenza del singolo esserci coinvolto nella contesa tra
autenticità ed inautenticità - ed il suo pieno, fenomenologico senso di
riferimento nella categoria della "significatività", laddove con questo
termine Heidegger intende - a dispetto del dualismo, patrocinato dal
primato del teoretico, sintetizzabile a posteriori, di soggetto e
oggetto tipico del neo-kantismo - il modo d'essere in cui, nell'
'attuazione' (pp. 65 sgg.) della vita effettiva, l'esserci fa
concretamente, originariamente esperienza del mondo. È doveroso, a
questo punto, che si ricordi il concetto di "fare esperienza" come eundo
assequi degli scritti heideggeriani degli anni Cinquanta, esemplare
maturazione di quel concetto di Ereignis apparso per la prima volta, con
la sua violenza primigenia annichilente l'ego cartesiano, nei corsi
friburghesi del 1919, in cui la trascendenza dell'esserci scuote
l'irrelata totalità ontica fino a spezzarla nella differenza ontologica e
a ricomporla, appunto, nel mondo, quel mondo che, per la quotidianità
reificata, 'caduta' (altro concetto chiave delle lezioni heideggeriane
di quegli anni post-bellici) nel "logorarsi della significatività",
lungi dal riconoscerne l' 'essere' nella "mondità" del
'prendersi-cura-avente-cura' è divenuto mero oggetto di interesse,
occupazione esente da pena, semplice utilizzabile, datità la cui natura
pre-teoretica, 'ambientale' rimane occlusa nella semplice-presenza
dell'oggettualità teoretico-ideale (p. 37 e p. 153). Sempre per
esplicita ammissione di Heidegger stesso, si veda a questo proposito la
celebre nota a Essere e tempo (Utet, Torino 1978, p.145): "L'autore si
permette di render noto che, sin dal corso semestrale invernale 1919-20,
ha ripetutamente esposto, nelle sue lezioni accademiche, l'analisi del
mondo ambiente e, in generale, l' "ermeneutica dell'effettività"
dell'Esserci" - già elaborato e presentato nel corso del 1919-20 sui
Problemi fondamentali della fenomenologia.
Sì, perché, nelle lezioni del 1920 e dintorni, c'è una questione ancor
più originaria,che aveva occupato Heidegger già nel quinquennio
1912-1917: lo statuto dell' 'oggetto'. Era inevitabile che la
'riduzione' husserliana, l'abbandono del naturalismo, la perdita del
mondo - inteso come totalità ontica - per ritrovare il mondo come
differenza ontologica, esigesse l'individuazione di una sfera
trascendentale originaria, dove per 'trascendentale' Heidegger, sino
alla fine degli anni Venti, intenderà il complesso delle condizioni di
possibilità dell'oggettualità in quanto tale. Nella misura in cui
l'oggettualità è l'esperienza che 'si dà' (es gibt), è ciò che 'apre',
all'esserci, la possibilità di un'esperienza come Ereignis, come evento
che si apre solo nella vita effettiva, nella situazione emotiva
corroborata dalla comprensione e dal discorso e ciò solo in
un'auto-manifestazione che si organizza autonomamente a livello
strutturale e categoriale, emerge che tale rilevamento si rende
possibile solo grazie a Dilthey e alle sue categorie interne alla vita; e
a Husserl con la sua scoperta, nella sesta "Ricerca Logica", dell'
'intuizione categoriale' e dell' "eccedenza" della categoria
dell'oggettualità e dell'essere rispetto alla mera intuizione sensibile.
Questa cruciale acquisizione Heidegger, nel 1919, la fonderà nel
carattere di precedenza ontologica del 'qualcosa vitale pre-mondano' (la
'vita' è strutturata, il teoretico può avere una struttura non
repressiva, la vita non è im-mediatezza categoriale,bensì concetto, ha
proprie determinazioni categoriali) e, nel 1920, ossia nel testo in
oggetto, gli permetterà di cimentarsi poi con Natorp circa la
possibilità di una scienza originaria del pre-teoretico, laddove per
Natorp scienza si può dare solo del teoretico, considerata
l'inoggettivabilità dell'io. Che cos'è, allora, un oggetto ? Il
correlato di una soggettività, ma non di una soggettività
rappresentazionale, emozionale o volitiva 'pura' che, cartesianamente,
dall'alto dell'indubitabilità della propria percezione immanente, si
volge poi a costituire l'oggettività mercé quella "matematicità del
metodo" così ben analizzata nel § 10 del corso del semestre estivo del
1933 e qui ampliata nel cap. 15, limitandosi a descrivere un cosmo di
pure essenze ideali oggettivandole in ontologie regionali e a fare della
soggettività storica concreta un mero esemplare rientrante in un
"contesto di ordinamento" - su tale categoria, contrapposta al 'contesto
di attuazione', si vedano le pp.124 sgg. e p.162 del testo - qual è,
appunto, una qualsiasi ontologia regionale. L' oggetto si rivela essere,
invece, il correlato di un'intenzionalità intesa non come l'astratto
rapporto dell'approccio teoretico soggetto-oggetto bensì come la vivente
co-appartenenza, nel vissuto dell'attuosa esperienza ambientale, di
"esperienza vivente" e di "qualcosa vitale pre-mondano",cioè la
significatività. L'oggetto è quindi originariamente "significativo", è
l'oggettualità, non l'oggettività determinata dalla soggettività
trascendentale - si ricordi l'acquisizione dei corsi friburghesi dei
primi anni Trenta: 'filosofo' è colui che libera lo sguardo per l'idea,
per l'essere e per l'idea suprema, l'idea del Bene, la suprema potenza,
superiore allo stesso essere in quanto concedente e accordante essere e
verità. Filosofia o, meglio, filosofare non è, quindi, mero esangue
sapere cattedratico, complesso definitorio, tecnica speculativa o
visione del mondo ma lotta per l'esistenza spirituale di un popolo, quel
conseguire la paideìa di cui parla Platone all'inizio del settimo libro
della Repubblica.
Di quel fenomeno originario fondamentale - la "vita effettiva" - la
fenomenologia, secondo Heidegger, è dunque la scienza in quanto "scienza
originaria del pre-teoretico", per riprendere la definizione presente
in Per la determinazione della filosofia, dotata di un rigore tutto suo,
il rigore delle 'cose ultime', che non è quello derivante dall'
"assicurazione" della Filosofia come scienza rigorosa di Husserl - cui
però non va contrapposta la visione del mondo bensì la filosofia
scientifica (pp. 15 sgg. e p. 142) - e, in quanto tale, mercé
l'inesausto esercizio della "distruzione" (cap. 5 e Appendice, pp. 149
ss.), o "diiudicazione" (cap. 10), fenomenologica applicata ai reperti
linguistico-proposizionali della quotidianità, autentica attuazione
dell' "atteggiamento fenomenologico fondamentale" (p. 36). Tale
'atteggiamento' è quindi da perseguirsi indefinitamente attraverso gradi
sempre più originari di 'indicazione formale' (p. 74 e altri luoghi ma,
per una piena intelligibilità, si veda "Interpretazioni fenomenologiche
di Aristotele”, cit., pp. 67 ss.), di approssimazioni orientate (p. 36)
sempre più vicine all'origine nella forma dell' 'interrogazione
infinita' con l'obiettivo di destituire di credibilità la presunta
auto-sussistenza, l'autonomizzazione dell'asserzione (in questo testo
intesa come "espressione") dal nesso 'comprensione/interpretazione'
(vedi anche i §§ 33 e 44 di Sein und Zeit) al fine di giungere alle
"cose stesse". E quelle "cose stesse" si riveleranno essere allora, come
volevasi dimostrare, l'"intuizione" vivente del proprio esserci
effettivo, la comprensione originaria, l' "intuizione ermeneutica" del
radicamento dell'apparato espressivo nella concretezza fattizia della
dialettica esistenziale cosicché risulti chiaro che ogni 'espressione'
esibisce sempre e necessariamente una pre-delineazione, una preliminare
articolazione del senso nascente da una pre-concezione (Vorgriff), da
una cornice 'progettuale', a partire dalla quale l'esserci organizza il
proprio mondo, originata da una "situazione" (pp. 34-35) esistenziale
ben definita, di accettazione della vita fattizia e della preoccupazione
del sé oppure di rimozione/nascondimento della stessa dietro il velo
della teoria degli "oggetti culturali", nella teoria dei "compiti della
cultura" come "atteggiamento" (Einstellung, pp.119 ss.) idolatrico nei
confronti delle forme oggettivate, 'cadute' dell'attuosità vivente dello
spirito nelle datità non-originarie del mondo circostante e del mondo
comune. È infatti solo analizzando i sei campi semantici del termine
'storia' (capp. 6 ss.) - (1) storia come scienza, come obiettivazione
teoretica; 2) storia come totalità ideale del passato, come oggettualità
solamente pensata; 3) storia come tradizione, ossia come apparato di
significatività proprie del mondo circostante e del mondo comune; 4)
storia come ammaestramento di vita o di politica; 5) storia come passato
concretamente esistenziale di un individuo; 6) storia come accadere
evenemenziale della vita effettiva) - che Heidegger avverte che
esclusivamente il quinto, oltre ad esprimere un carattere di
pre-delineazione congruo con gli imperativi di questa 'analitica
esistenziale' 'in fieri' (cap. 5), è in grado di rispettare, almeno
parzialmente, il criterio di 'originarietà dell'attuazione'. E ciò
avviene solo nella misura in cui è storicamente rilevante solo ciò che
il singolo esserci attua, ogni volta rinnovandosi,sotto l'imperativo
dell'ipseità mondana (cap.10), nella misura in cui l'importo
esistenziale effettivo è presente come passato di una persona che viene
conservato e mantenuto nella vivente irrorazione del presente tornando
con ciò a reintegrarsi nell'attuosità della dinamica esistenziale intesa
come 'senso concreto dell'attuazione storica' prefigurante il dinamismo
della triplicità 'estatica' di Sein und Zeit, come unità di passato,
presente e futuro nella vicenda esistenziale del singolo esserci
all'interno del 'progetto' del "mondo", movimento splendidamente
prefigurato nella recensione, coeva alle lezioni del 1920, alla
Psicologia delle visioni del mondo di K. Jaspers (ora in Segnavia,
Adelphi, Milano 1987, pp. 457-463). È infatti solo considerando sotto la
vivente conduzione attuativa della "distruzione fenomenologica" i
reperti linguistici della principale espressione della sterilizzazione
dell' 'oggetto storia' nel campo dell'interesse filosofico, vale a dire
la filosofia dei valori, che possiamo renderci conto di come i singoli
eventi perdano 'effettività' e 'significatività' per scadere a pretesti
per il reperimento in essi stessi di tracce di questa epifania
dell'ideale, sprovvisti di una propria identità ed intelligibilità,
bisognosi di assumere certificati d'identità dai valori. I singoli
eventi psicologici e storici - in Rickert, solo quelli storici -
materializzano, infatti, i valori sotto forma di 'oggetti culturali'. Ma
anche qui la singolarità dell'evento storico, in conformità al
carattere idiografico, individualizzante proprio delle scienze dello
spirito secondo Windelband, è meramente, per Heidegger, il luogo della
manifestazione di un ordine sovra-temporale (anche Simmel e Scheler
rientrano nella critica!), dove l'apparizione dei valori del
dover-essere imprime una torsione verso l'alto al divenire biologico
consentendo l'emergenza di valori strutturanti una presunta amorfa
irrelatezza empirica. Quest'ultima, a sua volta, dovrebbe sostenere
oggettualità ideali in grado di strutturare a priori la vita secondo un
ordine del "dover-essere" affondante le proprie radici nel primato
fichtiano-lotzeano della ragion pratica e nella distinzione brentaniana,
ripresa e sviluppata da Windelband e dallo stesso Rickert nella terza
edizione de L'oggetto della conoscenza, della distinzione di 'giudizio' e
'valutazione', ipostatizzando un ordine valoriale - logico, etico,
estetico ecc. - sovra-storico in grado di informare platonicamente
quella che, a torto, si considera come l'irrelata molteplicità empirica
fluente (pp. 27-29) e che è, invece, concreta "vita effettiva" nella
drammaticità della propria dialettica esistenziale.
Si tratta, cioè, in sostanza, nel 1920, per Heidegger, di distruggere le
contemporanee espressioni supreme della filosofia della vita non per
restare all'interno dell'orizzonte della stessa ma per rifondarla
superandola hegelianamente. Da una parte, la componente rappresentata
dalle scuole di Marburgo e Friburgo con la significativa aggiunta - a
differenza del 1919! - di Simmel e Husserl, interessata a stabilire un
piano meta-storico di riferimento anti-storicistico alla filosofia dei
valori. Dall'altra parte, la componente più attenta alle dinamiche della
vita psicologica ma ugualmente tesa a togliere centralità alla vita
effettiva del singolo esserci ipostatizzando al suo posto una
soggettività assoluta che, mercé il metodo della "ricostruzione",
recuperi hegelianamente all'attuosità del soggetto le proprie
oggettivazioni concludendo da ultimo il proprio itinerario
fenomenologico in un'astratta soggettività assoluta che, quale mera
correlatività, ponga se stessa ed il mondo (Natorp), oppure, nel caso di
Dilthey, pur intravedendo quest'ultimo il punto di partenza
nell'auto-strutturazione della 'vita', introducendo dei meccanismi di
assicurazione e di stabilizzazione in grado di tutelare l'individuo
dall'incertezza. ma recuperando, al contempo, il momento regressivo
della 'costituzione' (pp. 138, 141, 164-5). La 'vita', infatti, per
Dilthey - intesa come tensione pulsionale ed emozionale nei confronti
del milieu che fornisce stimoli e riceve modificazioni volitive guidate
dal valore e dallo scopo-, mette in funzione operazioni logico-formali,
ancorché inconsciamente e tacitamente, di unificazione, collegamento e
generalizzazione subordinate al supremo meccanismo regolatore/selettore
della vita psichica che è la "connessione acquisita", dispositivo che
consente la stabilizzazione della vita e la sua prevalenza
sull'ambiente, soprattutto come 'spirito oggettivo', come
generalizzazione d'esperienza, secondo Heidegger però estraniante e
reificante, in grado di superare quell' "accorgersi oscuro e violento",
quel tormento dell' 'attesa' che lo stesso Dilthey, nei Contributi allo
studio dell'individualità, credeva di aver definitivamente esorcizzato e
superato.