Nel secondo Ottocento e nei primi decenni del Nove lo sviluppo della
tecnologia e delle sue applicazioni alla comunicazione e alle arti
producono nuovi media e oggetti culturali. Il telegrafo, il telefono, la fotografia, il grammofono, il cinema e poi la radio e la
televisione determinano un cambiamento radicale nella ricezione
estetica, nella percezione delle cose e della soggettività. Da questo momento i filosofi interessati ai fenomeni che formano il
consenso sociale, nonché quelli che studiano in che cosa consiste
un’opera d’arte, devono misurarsi con queste novità. La realtà e la
finzione, l’originale e la copia, l’autentico e l’inautentico, il
naturale e l’artificiale, il fatto e l’interpretazione, la struttura e
la sovrastruttura di Marx, a partire da questo momento devono essere
pensati anche considerando i mezzi e i prodotti della tecnica. Da un
lato la dialettica della maschera in Nietzsche, la sua riflessione sul
rapporto extra-morale fra menzogna e verità, nonché la sua idea delmondo
come conflitto di interpretazioni; e dall’altro lato la più specifica
indagine estetica e politica sui possibili effetti liberanti della
fotografia e del cinema in Benjamin, costituiscono il fulcro per lo
sviluppo di una riflessione che vedrà avvicendarsi teorie e critiche su
questi temi fino ai nostri giorni.
Di questa vicenda il notevole libro di Giovanni Gurisatti, Scacco alla
realtà. Estetica e dialettica della derealizzazione mediatica (Quodlibet,
pp. 343, € 24,00) offre una costellazione selettiva che mette insieme
alcuni dei protagonisti della riflessione mass-mediatica, ora che
proprio dall’Italia nuovi realismi filosofici riprendono quota. Oltre a
Nietzsche e Benjamin, Gurisatti passa in rassegna anche Adorno, Anders,
Debord, Baudrillard, per finire con quella che è la propria tesi,
sviluppata attraverso Vattimo e il confronto fra il Foucault delle Tecnologie del sé e uno Schopenhauer attualizzato.
L’intento principale di Gurisatti è quello di definire un’etica
delladerealizzazione: una filosofia pratica per una realtà il cui
fondamento ontologico e la cui certezza metafisica sono stati scossi e indeboliti. Una realtà che però proprio per lo scuotimento e la
debolezza sarebbe «più reale» e offrirebbe maggiori chance di
emancipazione e liberazione. In questo atteggiamento propositivo
nei riguardi degli effetti che i mass-media hanno prodotto sull’idea di
realtà, Gurisatti si trova in sintonia, pur con profonde differenze, con
Nietzsche, Benjamin, Vattimo e Foucault. È invece lontano da Adorno,
Anders, Debord e Baudrillard, e cioè da coloro chehanno elaborato una
visione tutto sommato negativa del mutamento che i nuovi mass-media
hanno provocato nella realtà e nella soggettività. Uno degli aspetti più
interessanti della riflessione di Gurisatti è l’emergere continuo di
Benjamin quando la discussione tocca l’aspetto della progettualità
politica.
In tutti gli altri interlocutori Gurisatti vede una carenza o
un’inadeguatezza nel momento in cui la loro proposta di resistenza
etica, di rassegnazione apocalittica, di atteggiamento critico o di
abbandono alla derealizzazione massmediatica interferiscono con la
politica. Tale inadeguatezza, Gurisatti in parte la ritrova anche nel
pensatore più vicino alla sua visione propositiva della derealizzazione e
cioè in Vattimo, che pure considera il Benjamin politico dei media, ma
lo schiaccia troppo su Heidegger e sul costitutivo indebolimento della
realtà che per Vattimo avrebbe la caritas cristiana. Proprio per la
sottolineatura del «politico» in Benjamin, sorprende l’approdo finale
all’etica del discorso di Gurisatti. Benché si tratti di un’etica a
forte propensione collettiva, comunitaria, di «cura est-etica degli
altri e delle alterità», sembra però voler indietreggiare riguardo a un
più diretto coinvolgimento nel politico, che al massimo potrebbe
comparire come
«valore aggiunto». A questo Gurisatti preferisce un’ascesi non
cristiana, ma neo-stoica o buddista, la quale però al dunque mostra
forse inavvertitamente i tratti di quella disciplina neutralizzante la
politica, la soggettività e la realtà che è la governance: «misura in
cui», scrive Gurisatti, «governo di sé e governo degli altri fanno
tutt’uno».