Recensioni / Dramma dell'integrazione in Brick Lane

A Londra, presso Brick Lane (una via stretta, satura di mattoni a vista e piena di ristoranti indiani), c'è la vecchia fabbrica settecentesca di birra Blak Eagle, ora chiusa e trasformata in una concentrazione di pub, localini e studi di artisti. Lì, in quell’area batte forte il cuore bengalese di Londra, concentrato in una stratificazione di mrcati etnici e di atmosfere orientali innestate in un sostrato sociale fatto di marginalità, di nazionalismo (del colonizzato e del colonizzatore) e di povertà. Brick Lane, con la sua vita convulsa ha tutte le caratteristiche di una enclave in cui integrazione ed emarginazione s’alternano sulle fronti sudate di lavoratori sfruttati (tra cui i pakistani e i “secessionisti” del Bangla Desh) e di disoccupati xenofobi (tra cui gli aderenti all’intollerante Fronte Nazionale, di matrice totalitaria), è balzata agli onori letterari in queste ultime settimane con l’uscita del primo romanzo della scrittrice bengalese Monica Ali intitolato Sette mari tredici fiumi (edito da marco Tropea).
Il romanzo della Ali è stato presentato eome l'opera ehe finalmente dà voce alla «comunità nascosta dietro l'area di Brick Lane»: una sorta d luogo della stratificazione multiculturale. Ma Sette rnari tredici fiurni, un romanzo pur struggente che narra la storia di Nazneen e Chanu, una coppia ossessionata dal problema dell'integrazione nella società inglese, non presenta quei segni di originalità tanto evidenziati dal suo battage pubblicitario. Proprio Brick Lane, infatti, col suo sottobosco problematico e con le contraddizioni tra padri e figli (le prime e seconde generazioni che si sconfiggono), compare anche in un una incisiva – precedente – raccolta d racconti di Farrukh Dhondy, dal titolo ironico Vieni alla Mecca (che allude a un disastroso invito galante a un locale pubblico scambiato dalla donna per un'avance religiosa).
Dhondy è nato a Poona in India nel 1944, per poi studiare a Cambridge e insegnare nelle scuole inglesi. La sua carriera d narratore annovera cospicue opere come Black Swan e Janali and the Giant (usciti eome Cigno nero e Janaki e il gigante per Mondadori), mentre Bornbay Duck, del 1999, ha ottenuto importanti riconoscimenti. Non solo, ma la sua attività come esperto in programrni multiculturali presso Channel Four, ha fatto di lui un profondo conoscitore delle problematiche postcoloniali, con particolare riferimento al mondo giovanile (un suo recentissimo romanzo, Run, del 2002, affronta il nodo dell'integrazione da parte dei teenagers). Ma ciò che più colpisee di lui è la scelta di fare proprio di Brick Lane una sorta di microcosmo etnico stratificato, un crocevia rutilante di colori e di lingue, stemperato tra la comunità indiana, pakistana, africana e giamaicana. Una scelta che ha sapientemente concentrato in Vieni alla Mecca, costituito da sette intensi racconti capaei di percorrere storie parallele (spesso solo parallele laddove non v'è integrazione neppure tra le varie etnie di Briek Lane), tutti ambientati in un momento diffieile della comunità del Bangla Desh, a ridosso della scissione col Pakistan del 1971.
Vieni alla Mecca è uscito nel 1978, e viene tradotto solo ora – molto bene invero e con un utile glossario – da Marina Manfredi per Quodlibet Libri. La sua caratteristica principale, che ne fa un testo molto dirompente, sta proprio nella capaeità d'inglobare, in una convivenza difficile tra le varie etnie ancor prima che con gli inglesi, un panorama sociale incentrato sugli adolescenti, sulle loro aspirazioni e sulle loro delusioni. Ed ecco che i problemi legati all'abuso del lavoro giovanile nelle "fabbriehette" casalinghe dove inglesi senza scrupolo pagano poco o nulla s’assommano al conflitto tra bande (Fronte Nazionale xenofobo e i Pakibasher, i "picchiatori musulmani" come li definiscono gli skinhead), allo strisciante razzismo nelle scuole inglesi (emblematico è l'episodio in cui un preside impone alle studentesse d'indossare collant "color carne": «Carne di chi?», gli viene risposto dalle faneiulle "colored"), fino alla scelta d sperata della jehad da parte degli abusivi musulmani nelle case d Brick Lane attaccati quotidianamente dagli hooligans protetti dalla polizia.
Insomma, l'umanità ferita descritta da Dhondy è uno spaccato del grande dramma dell'integrazione nel cuore della civiltà europea, e la sua denuncia, che risale alla fine degli anni Settanta, è molto più incisiva d una qualsiasi lave story romanzata, magari sospinta dalla moda.


Farrukh Dhonndy, “Vieni alla Mecca”, Quodlibet Libri, Macerata 2003, pagg. 134, € 12,00