Di poche cose vado fiero, confesso, come di ricevere di tanto in tanto
uno degli undici esemplari delle pubblicazioni della «FUOCOfuochino» di
Afro Somenzari, quella cioè che si autopromuove (si fa per dire) come
«la più povera casa editrice del mondo». Testi brevi, massimo quattro
pagine, di «oulipiani ruspanti, patafisici casual, metafisici portatili
[…], teorici dell’eccezione e della marginalità, irregolari &
irriducibili, teneri misantropi che si ostinano a difendere le ultime
ragioni dell’umano come nessun altro».
Così introduce Ernesto Ferrero al secondo loro «Catalogo», su carta
umile e sempre fuori commercio, ma con illustrazioni a colori di Guido
Scarabottolo. Idea geniale o forse vendetta sottile – quella di chi ha
il segno più riconoscibile della nostra editoria –, di realizzare
copertine immaginarie di classici della letteratura trattandoli come
romanzacci pulp della fantascienza d’antan (sicché I fiori del male sono
immense piante carnivore, e le Fanciulle in fiore dei trifidi
insidiosi; a Scarabottolo si deve pure la Pinacoteca Universale della
Stazione di Topolò, che qui non ho modo di descrivere: ma il prossimo
luglio non mancate di visitarla).
Tra gli autori di FUOCOfuochino c’è Paolo Albani, severo docente di
economia politica che da anni assembla oggetti-libro minuziosi e folli,
con inappuntabile acribia dedicati ai repertori più strampalati e
inattendibili: dalle lingue immaginarie (Zanichelli ha da poco
ristampato il «classico» Aga magra difùra) alle «scienze anomale». Il
talento pseudo-enciclopedico di Albani – degno erede della patafisica di
Jarry, scienza delle eccezioni e delle «soluzioni immaginarie» –
eccelle appunto nelle discipline scientifiche, reame di quella che Musil
chiamava «stupidità intelligente». È il caso di quest’ultimo,
imperdibile zibaldone (anche illustrato) di Mattoidi italiani,
inevitabilmente uscito nella «Compagnia Extra» di Quodlibet.
Mattoidi definiva Cesare Lombroso quelle figure border-line di
«eterocliti» (come li chiamava invece Queneau) che non strillano mai
tanto da finire in manicomio. Lo stesso termine impiegò Carlo Dossi per i
progetti del concorso per il Vittoriale di Roma (su 296, secondo lui,
«39 pendono decisamente alla follia […] mentre circa 35 sono frutto di
menti “semplicemente cretine”»). Albani passa in rassegna settanta
personaggi del tutto ignoti – medici ed economisti, filosofi e
linguisti, cosmologi e letterati, «quadratori del cerchio» e
«trasmettitori del pensiero» – per lo più vissuti a cavallo tra Otto e
Novecento, tutti convinti di essere «benefattori dell’umanità». Ce ne
sono di non meno che commoventi (io stravedo per la «telefonia umana» di
Alberto Corva, il «misticateismo» di Giovanni Tummolo, la «fisiologia
dell’adulterio» di G. Lima Fulga…).
Ne viene fuori un compendio di patafisici naturali, serissimi e
raziocinantissimi, una nave di folli fatta di carta (come nella
copertina di Mario Ortolani). Nonché la convinzione che più folle ancora
sia chi li classifica col loro stesso zelo maniaco. Albani lo sa bene,
quando riporta certi commenti di Lombroso (per esempio quando
maramaldeggia su chi «consuma tutto il suo scarso peculio […] nella
stampa di opuscoli a favore della rigenerazione della posterità, che
egli dirama dappertutto gratuitamente»).
Quel Lombroso che, ha raccontato una volta Ermanno Cavazzoni (chissà se
nel comporre la Storia naturale dei giganti conosceva la «gigantologia»
di Emiddio Manzi), nel 1897 andò in Russia per studiare Leone Tolstoj:
«Ma Tolstoj non lo volle ricevere, dicendo che le sue teorie eran le
teorie di un idiota. Quando questo gli fu riferito, Lombroso ne restò
molto offeso; sfidò Tolstoj a provarlo statisticamente. Ma non ne ebbe
risposta».