Carlo Cetti è l’ideatore della teoria del brevismo. La espose in una
pubblicazione nella quale individuava nella brevità del linguaggio un
mezzo per la perfezione dello stile. Una sua opera esemplare è il
Rifacimento dei Promessi Sposi, una versione semplificata dell’intero
romanzo. Questo l’incipit: «Quel ramo del Lario che tra due catene di
monti e tutto seni e golfi, volge a sud, quasi a un tratto sui restringe
e, tra un’ampia costiera a manca e un promontorio a destra, prende
corso di fiume; mutazione resa più evidente da un ponte che unisce le
due rive lì ove termina il lago e l’Adda ricomincia…». La versione,
rispetto all’originale manzoniano (86 parole), presenta soltanto 59
parole con un “risparmio”, quindi, di oltre il 31%...
Cetti è soltanto uno dei 70 “mattoidi” di casa nostra – non viventi –
dei quali Paolo Albani (I mattoidi italiani, Quodlibet, 2012, pagg. 348,
Euro 16,00) traccia il profilo indicandone diffusamente le
caratteristiche e le deliranti teorie nei campi più diversi: si va dai
linguisti ai medici, dagli scienziati ai profeti, dai sessuologi agli
psicologi, dagli architetti ai politici. Per tutti questi autori
bizzarri il volume offre ampi riferimenti bibliografici, la riproduzione
delle copertine dei loro libri e l’esposizione delle loro deliranti
teorie. Tra i “mattoidi” c’è chi riesce addirittura a brevettare
l’invenzione di un convoglio aereo in grado di fare il giro del mondo in
24 ore e chi elabora una teoria sistematica del fenomeno della
“simpatia” analizzandone i vari fattori e giungendo alla definizione di
alcune leggi che la determinano; ci sono alcuni che congetturano tesi
volte alla “quadratura del cerchio” o alla “cubatura della sfera” e
tanti altri studiosi di argomenti singolari come chi spiega come sia
possibile giudicare l’animo dell’uomo (o della donna) dall’espressione
del suo volto.
Ancora in campo “letterario” spicca il nome di Bernardo Bellini che, nel
1865, pubblicò un testo costruito su di una regola ferrea quanto
bizzarra: L’inferno della tirannide. In esso vengono deprecate le tristi
condizioni dell’Italia sotto il dominio austriaco. Incredibilmente
Bellini compose 34 canti quanti quelli dell’Inferno dantesco utilizzando
rigorosamente tutte le rime in esso presenti. Ciò che cambia è il
soggetto e, naturalmente, i personaggi: ad esempio, Caronte diventa
Radtzky, Paolo e Francesca una coppia torturata dagli austriaci. Basta
la prima terzina per dare idea della fatica: Non lungi al valicar di
nostra vita / mi ritrovai per una landa oscura / sì che ogni lena in cor
m’era smarrita.
Un lavoro, questo di Albani quanto mai puntuale e approfondito dal punto
di vista bibliografico; esso riprende la ricerca di Raymond Queneau sui
“fous littéraries”, definizione che, beninteso, non si riferisce a
letterati folli ma ad autori «le cui elucubrazioni si allontanano da
quelle professate dalla società in cui vive (…), che non rimandano a
dottrine anteriori e che non hanno avuto eco alcuna. In breve un “folle
letterario” non ha né maestri né discepoli».