Recensioni / Geografie di un poeta

Che la figura di Petrarca non sia un universo monotono e monotonale, una sorta di regno perenne della memoria e della contemplazione, agli specialisti è chiaro da tempo; ed è chiaro che la sua vita, ricca di intrecci, eventi e luoghi, non possa che essere raccontata come un romanzo. Ben al di là di una certa vulgata dura a morire, la sua opera si presta assai a tagli di studio che vadano oltre il mero dato letterario, aprendosi ad apporti di varia e ampia natura; e difatti gli affondi recenti nella cultura materiale rintracciabile nelle pagine petrarchesche vengono da parte, o per sollecitazione, di studiosi di altre discipline: dal chirurgo che leggendo l'Invectiva contra medicum viene preso da curiosità, ponendosi così all'origine di quel convegno dedicato a un capitolo interessante di storia della medicina di cui sono stati pubblicati i corposi atti (Petrarca e la medicina a cura di Monica Berté, Vincenzo Fera e Tiziana Pesenti, 2006); agli storici che ne indagano l'attitudine oratoria, esercitata in anni di guerre fratricide e di scorrerie straniere sul suolo italico (penso ai lavori di Rosa Maria Dessì); fino a questo bel libro di un architetto torinese, che ragiona intorno a un tema apparentemente abusato come quello del paesaggio in Petrarca immettendovi linfa nuova.
Tosco mostra una dimestichezza notevole con la bibliografia specialistica in materia, che poi rivitalizza aggiungendovi del suo, da storico del paesaggio ed esperto di architettura medievale qual è: ma quel primo passaggio, l'acquisizione della bibliografia specifica, mostra con quale rispetto per i principi della ricerca si sia avvicinato a Petrarca, non insomma da sublime dilettante,
bensì da studioso fratello che legge i testi letterari senza aggirarne l'esegesi storica. Ciò detto, mi sembra che i capitoli più innovativi siano i primi due, nei quali a fare da filo conduttore è in sostanza lo sguardo gettato da Petrarca sul mondo. Non che tale fil rouge venga a mancare nell'ultimo capitolo, che anzi lo innalza a sistema mettendo al centro della riflessione l'ascensione al Mont Ventoux e la creazione di un privato spazio edenico dell'abitare (Le forme del paesaggio): ma, nonostante i frequenti spunti interessanti, tra cui le note sull'attitudine petrarchesca alla descrizione paesistica a volo d'uccello, o sull'attenzione ai paesaggi antropizzati, diciamo che il tema è sufficientemente noto da non produrre soprassalti d'interesse. Che invece abbondano nel primo capitolo (Architettura tra passato e presente), in cui la vita dell'intellettuale si intreccia con quella dei monumenti visitati, di cui Tosco segue la storia, evidenziandone la collocazione originaria e le eventuali successive dislocazioni; e con quella delle architetture delle chiese elogiate, di cui cerca di illustrare l'assetto antico per mostrare che cosa stesse guardando e descrivendo Petrarca, compresi i dettagli non più visibili dopo rifacimenti e restauri (come nel caso di quelli, ottocenteschi, della Basilica di Sant'Ambrogio).
Viene così in luce un Petrarca non riducibile all'eterno cultore dell'antico che conosciamo, ma capace di apprezzare anche opere architettoniche medievali recenti, come, nel caso di Pavia, il ponte coperto sul Ticino, iniziato nel 1351 per volere del podestà - Giovanni Mandelli e destinato a sostituire l'antico ponte romano, o il castello visconteo, iniziato nel 1359. Altro capitolo interessante per la considerazione di un Petrarca attento descrittore dei luoghi dell'abitare è la sua conoscenza di Vitruvio, condivisa con tecnici d'eccezione come il suo amico Giovanni Dondi dell'Orologio: qui le competenze proprie di Tosco, unite a una bibliografia di data piuttosto recente, intervengono a sfatare la “tradizione tenace che continua ad attribuire al Rinascimento la “riscoperta” del De architectura vitruviano, del quale, anzi, Tosco ipotizza una diffusione umanistica basata sulla “tradizione manoscritta mediata dai circoli petrarcheschi”. Se Il fascino di Roma, come recita un paragrafo del primo capitolo, è ben vivo in Petrarca, che condivide con la sua età la sua visione di una città che vive, di sovrapposizioni tra antico e moderno, Roma è per lui caput di un'“Europa delle città”, come suggerisce il secondo capitolo (Città e spazi dell'abitare).
A Petrarca peregrínus ubique, nato e vissuto in esilio, quale egli stesso amava rappresentarsi, le grandi città europee si mostrano come nodi di una rete intessuta di viaggi, ciascuna dotata di peculiari bellezze, oggetto di osservazioni di carattere “etnografico”, nelle quali architettura e natura si fondono: “Le acque - ricorda Tosco, - sono grandi protagoniste nella visione geografica del Petrarca, e le città si caratterizzano per i loro fiumi”: meno stilizzate ci appariranno le coincidenze delle rime tra il Rodano e Avignone, tra il Po e l'Italia.