Recensioni / Filosofia e discussione pubblica

P. Di Lucia (scura di), Ontologia sociale. Potere deontico e regole costitutive, Macerata, Quodlibet


Viviamo in uno o più mondi? Viviamo in un mondo costituito da più livello di realtà o man mondo i cui livelli superiori sono riducibili a livelli inferiori? Queste sono alcune delle domande generali che si pone chi si occupa di ontologia. In particolare, chi si occupi diontologia sociale sarà sensibile alla questione di cosa costituisca la specificità della realtàsociale e se tale specificità ne faccia qualcosa di irriducibile ad altri livelli di realtà.

Un lavoro molto noto e discusso negli anni recenti è La costruzione della realtàsociale, di John R. Searle (1995), cui tesi fondamentale è clic la realtà sociale è costituitain termini di intenzionalità collettiva e più specificamente di regole costitutive che attribuiscono funzioni di status. Un saggio dello stesso Searle (Ontologia sociale e poterepolitico) apre la prima parte del volume qui recensito. Essa, in prevalenza, si snoda comeso commento critico alle tesi di Searle (con saggi di O. Azzoni, G. Carcaterra, B. Celano, P. Costa, F. Oppenheim, M. Ricciardi, M. Santambrogio, B. Smith). Fra i punti più discussi si possono considerare lo statuto dell'intenzionalità collettiva e la possibilità che soggetti facenti capo ad una certa istituzione siano in errore quanto alle caratteristiche dell'istituzione, che abbiano cioè delle credenze false a riguardo. Sul primo punto: comei possibile conciliare gli assunti di Searle che, da una parte, tutta l'intenzionalità èintenzionalità di menti individuali e che, dall'altra, l'intenzionalità collettiva è una formaprimitiva, non derivata, di intenzionalità? Sul secondo: se la realtà sociale è costituita intermini di intenzionalità, come è possibile che i soggetti siano in errore a proposito di ciòche dipende dalla loro intenzionalità? L'essere in errore ha senso rispetto a ciò che è indipendente dal soggetto che erra, non rispetto a ciò che ne dipende. Il punto ha dellesiriani di notevole interesse: qualora i soggetti abbiano credenze istituzionali contraddittorie o incompatibili (ad esempio che p sia prerogativa esclusiva dal Presidente della repubblica e che il consenso del Ministro della giustizia aia condizione necessaria dip), si dovrebbe a rigore supporre che la realtà istituzionale, in quanto dipendente dall'intenzionalità dei soggetti, abbia essa stessa degli aspetti contraddittori o incompatibili. La conclusione è senza dubbio implausibile. Se, da una parte, la si evitaosomendo dei modelli ideali di realtà istituzionale, dall'altra, cool facendo, si rischia diIdoire il legame fra intenzionalità e realtà istituzionale. E certamente un punto debole bib restia di Searle.

La seconda parte del volume ai concentra sulla natura delle regole costitutive e sulàro rapporto con altri tipi di regole (con saggi di "lit, e anice, C. Alarcòn Cabrera, J.Insist, A. Conte, F. Di Lucia, L. Ferrajoli, G. Ferrari, E. Fittipaldi, A. Incampo, G.lirini, V. Ottonelii, A. Partington, L. Passerini). Di riferimento, oltre alle tesi di Scorie,too le tesi esposte in numerosi lavori dc Amedeo G. Conte. La distinzione più comune quella fra regole costitutive, che creano nuovi tipi di condotta (come le regole dal giocohgli scacchi), e regole regolative, che disciplinano tipi di condotta preesistenti (come leegole morali). Questione ricorrente è c'e le une siano distinte dalle altre da una solaiderenza di grado (qualcosa come il grado di costitutività) o se fra esse vi sia piuttosto no separazione netta. Prendendo ad esempio una ricetta, si tratta di una regolatpolativa o di una regola che ascrive a qualcosa lo status di ingrediente così come unasgola degli scacchi ascrive a qualcosa lo status di alfiere? Se la risposta non è chiara,prehé nun cambiare criterio e distinguerle (è una proposta di e anice) in baseisutulogia dei loro prodotti, fisici o mentali? La discussione a riguardo si intreccia adsa riflessione sul perché vi siano regole costitutive, sui loro motivi o cause finali. Mentrebn scritti di questa seconda parte del volume si concentrano sull'ontologia del dovere,cile norme giuridiche, sugli atti istituzionali,    li speciale interesse è il saggio sii Conte (Oggetti falsi. Per una ontologia del falso).
Esso vene sulla possibilità che vi siano oggetti falsi (ove il predicato «vero» è sinonimodi «autentico») e che tale falsità ontica toe comporti la falsità semantica. L'oggetto che aparere di Conte soddisfa tale eventualità è un oggetto istituzionale: la banconota, la cuinun autenticità (falsità unica) comporta la falsità di quanto enunciato, stampato, su diessa (falsità semantica). La tesi è acuta e brillante, precisando comunque che è l'enunciato (o il suo contenuto) ad essere semanticamente falso, non la banconota stessa. In senso stretto, una banconota falsa non è semanticamente falsa ma dice il falso (cosìcome una frase falsa da me pronunciata non mi rende un individuo semanticamente falso).

Merito del libro e del curatore Paolo di Lucia è porre tecnicamente l'attenzione su problemi vivi e centrali nel dibattito contemporaneo, in un confronto non settoriale econ ampiezza di vedute, contribuendo a smentire l'idea che l'ontologia sia un'impresa nebulosamente metafisica o in qualche senso necessariamente riduzionista. In verità,l'ontologia sociale si lega strettamente alla filosofia della mente, della politica, del diritto. Come ulteriore merito, il libro porta a confronto filosofi e filosofi del diritto su temi diinteresse comune, un confronto che negli ultimi anni, purtroppo, in Italia è stato moltoraro. Nun è questo is sede per imputare tale mancanza agli uni o agli altri. Ma è almenola sede per lodare l'intento di questo libro e auspicare che  altri ne proseguano la via.