Il volume di 134 pagine, curato da Paolo Ceccon e Laura Zampieri, è
dedicato ai paesaggi produttivi costituiti da insediamenti industriali e
artigianali. Il testo ha una configurazione precisa: si apre con una
estesa introduzione di Renato Bocchi, alla quale seguono due parti che
si distinguono per contenuti e linguaggi.
La prima parte si intitola 'Scritti' e comprende quattro saggi,
rispettivamente di Paolo Ceccon, Laura Zampieri, Michela De Poli e Paola
Cavallini. La seconda parte, 'Ricerche', accoglie la descrizione
tecnicamente pertinente della ricerca elaborata dagli autori sul tema
degli insediamenti produttivi nella Provincia di Reggio Emilia, anche se
è l’Università Iuav di Venezia il retroterra culturale delle
riflessioni degli autori, i quali svolgono tutti attività didattica e di
ricerca presso la Facoltà di Architettura. Al volume manca un capitolo
conclusivo che di certo sarebbe stato utile al fine di riassumere e
qualificare le riflessioni dei diversi autori.
Costituisce forse un’osservazione scontata in una recensione, ma gli
autori contribuiscono davvero in questo caso a colmare la scarsità di
riflessione sugli insediamenti produttivi nella letteratura disciplinare
italiana e internazionale. Pochi testi approfondiscono il tema e
pochissimi lo fanno a partire da un’attenta considerazione degli spazi
aperti. Da una ricognizione della letteratura sul tema sono soprattutto
autori e ricerche riconducibili al filone “mediterraneo” della
disciplina (Pucci 1996, Urhahn Urban Design 2006, Incasòl 2007, Merlini
2009, Armondi 2011), più che a quello anglosassone. Una sezione dedicata
agli insediamenti produttivi non si trova infatti in uno dei
riferimenti classici della pianificazione statunitense (Hoch et al.,
2000) e nemmeno nella popolare serie di manuali 'per negati', dove è
stato pubblicato di recente un volume di urban planning (Yin, 2012).
Nelle classifiche dei libri più interessanti degli ultimi anni elaborate
da Planetizen, una preziosa risorsa sul web molto seguita su progetti e
politiche urbane e territoriali, è difficile rintracciare un volume
rivolto a questa tipologia di territori.
Ci sono svariate modalità per interrogare le dimensioni spaziali,
ambientali, economiche, territoriali degli insediamenti produttivi. Le
più praticate in Italia sono quella della ampia letteratura sui
distretti industriali e quella che parte dal tentativo di trattare le
esternalità ambientali dei cicli produttivi. Spesso, le ricerche sulle
Aree Produttive Ecologicamente Attrezzate (Apea) sancite dal decreto
Bassanini (art. 26 del Dlgs 112/98) si chiudono entro questa seconda
cornice (Enea, 2007).
Diversamente, nel volume curato da Ceccon e Zampieri si evince una
opportuna inversione di prospettiva sui criteri per la progettazione
degli insediamenti produttivi e soprattutto sulle loro relazioni con i
contesti.
Analizzati, smontati, ripensati e riprogettati attraverso considerazioni
di tipo teorico nella prima parte del testo e verificati nelle prassi
della professione nella seconda parte, gli insediamenti produttivi
interpretati come forme di paesaggio costituiscono il punto di partenza
delle riflessioni del libro. Lo sottolinea Renato Bocchi nel saggio
introduttivo - intitolato “La produzione di nuovi paesaggi” – quando
scrive: “La legge regionale emiliana dichiara che una nuova area
industriale può rappresentare un’occasione per organizzare un sistema
produttivo come un sistema sostenibile di una parte di paesaggio”
(Bocchi, p. 11). Gli autori del volume da qui hanno preso le mosse per
la sperimentazione condotta nella ricerca e nel progetto, per misurare
le possibilità di avvio, consentite dalla normativa per le aree
produttive di carattere industriale e artigianale, di “procedimenti di
trasformazione virtuosa del territorio che - anziché annichilirne i
presenti valori paesaggistici - li possano considerare come elementi
fondanti il progetto trasformativo medesimo” (Bocchi, p. 12).
Nel secondo saggio, a tratti di non facile lettura, intitolato
“Infrastrutturazione contingente ed eterocronia del paesaggio”, due
sembrano gli elementi cruciali messi in campo da Paolo Ceccon.
Il primo è un tema caro a Kevin Lynch: gli scarti, i junkspace, gli
spazi e i paesaggi rifiutati e abbandonati; l’altra faccia dei processi
di crescita che hanno caratterizzato la trasformazione urbana e del
territorio nel corso degli ultimi due secoli. Sempre rimossi, occultati,
posti ai margini possono costituire oggi una importante risorsa
progettuale. Il secondo configura un’iniziativa di “decolonizzazione”
dalle interpretazioni più ordinarie del concetto di paesaggio e del suo
significato progettuale, appoggiandosi ad una eterogenea, ma consolidata
rassegna di letteratura sul tema (Bauman, Foucault, Koolhaas,
Latouche).
Di particolare interesse sono due scritti, rispettivamente elaborati da
Laura Zampieri - intitolato “Scarti, flussi, energia” - e da Michela De
Poli - “Transizioni” -, a mio giudizio, i più riusciti.
Il saggio di Laura Zampieri costruisce un approfondimento complesso su
dimensioni raramente problematizzate dal punto spaziale e territoriale
mettendone il luce la potenzialità progettuale, soprattutto per quanto
riguarda le eventuali relazioni con il sistema degli spazi aperti e di
spazi pubblici. Nel testo, per esempio, si segnala come “le
problematiche legate allo smaltimento idraulico e meteorico, all’interno
dei contesti urbani, sempre più spesso diventano occasione di
progettazione di luoghi (…). Lo spazio della mobilità e
dell’interscambio deve essere ripensato nella dimensione dello spazio
pubblico; come luogo di manifestazione della differenza (…). Per
costruire tale prospettiva è però necessario definire un’idea di
‘energia del territorio’, uno scenario di diffusione delle fonti
rinnovabili che assecondino i caratteri dei luoghi lavorando sulla
qualità, sulla quantità e sulla dimensione degli interventi” (Zampieri,
pp. 47 -58).
Nel suo saggio Michela De Poli si pone l’ambizioso obiettivo di
illustrare l’estensione anche in termini progettuali, della condizione
temporale di trasformazione/transizione, dello spessore di “una
riflessione progettuale sul valore del cambiamento, nel suo percorso di
attraverso per diventare da una cosa, un’altra (…). La transizione, il
cambio di stato, la mutazione e la relativa regolamentazione e controllo
stanno alla base della ricerca, con due specificità: una procedurale e
l’altra progettuale. (…) Da un lato quindi il passaggio, per il valore
strategico di una ricerca in quanto luogo in cui si ri-cerca, si cerca
qualcosa di nuovo, è dato dalla capacità di rappresentare il terreno su
cui strutturare, organizzare un processo logico e funzionale del tema
assegnato. (…) Dall’altro il passaggio, è identificato nel progetto che
si misura con lo spostamento fisico tra due aree, tra due stati d’essere
con regole proprie (…). Il passaggio è dato dalla fisicità del
mutamento, intesa come movimento da un territorio (agricolo, urbano,
etc.), ad un altro (industriale-artigianale), interpretata come
cambiamento da uno stato (agricolo) ad un altro (area
industriale-artigianale), utilizzata come spazio per usi diversi in
tempi diversi” (De Poli p. 62).
Lo scritto “Tre paesaggi industriali”, elaborato da Paola Cavallini,
apre alle elaborazioni progettuali della seconda parte del testo. Il
saggio svolge una descrizione articolata dei contenuti e delle finalità
della ricerca oggetto del volume e dei tre dissimili contesti
territoriali deputati dal Piano provinciale ad ospitare le nuove Apea.
Le tavole di progetto inserite nella seconda parte del volume
restituiscono immagini raffinate che dispiegano le nozioni di territorio
come “palinsesto”, di progetto di suolo e di disegno urbano
nell’accezione coniata in Italia da Bernardo Secchi e da Vittorio
Gregotti, ed è indicativo della loro rilevanza il tenace interesse per
questi temi che si evince dalle pagine di Gregotti (2011). Le
rappresentazioni non si concedono né a semplificazioni grafiche né al
facile truismo dei rendering, anche grazie alla costruzione di una
matrice “lasca” di sviluppo che si muove su quattro scenari e che scarta
la rigidità di un’univoca prefigurazione di futuro aprendosi ad una
molteplicità di processi non per forza alternativi.