Gilles Deleuze non considerava film e registi come oggetti di studio, ma si poneva in dialogo con loro da pari a pari, in un utile corpo a corpo. Vedeva analogie tra la filosofia e il cinema: perché la prima non doveva attribuirsi il primato della riflessione e il secondo quello della creatività. È su queste premesse che il pensatore francese, morto suicida nel 1995, scrisse L'immagine-movimento e L'immagine-tempo, due opere che suggellano il rapporto con il grande schermo. E che sono il filo rosso con cui Daniela Angelucci, ricercatrice di Estetica all'Università Roma Tre, tesse questo saggio appassionato: un utile vademecum per accostarsi al Deleuze "cinefilo". L'artista, per il filosofo, è creatore di verità. Ma a Deleuze il falso interessa più del vero. Per questa ragione Orson Welles risulta essere l'autore (“nietzschiano") con cui la relazione è più proficua. Prendiamo Ffor Fake, l'ultimo capolavoro del regista di Quarto Potere: nel film l'ideale di verosimiglianza è ormai superato. La pellicola è un trionfo di messinscene e finzioni. Il falsario è il nuovo super uomo. Il cinema (come la filosofia) ha rinunciato alla verità.