Recensioni / Le città visibili. Gli scenari urbani di Paolo Rosselli

C’è indubbiamente un nesso particolare tra gli studi di architettura e la fotografia: premesso che buoni studi umanistici, sia scolastici ma anche in proprio, sono sempre indispensabili per chi vuole occuparsi di arti visive, tra gli studi universitari propedeutici alla fotografia di ricerca quelli in architettura sembrano possedere quel quid in più che ha portato molti architetti a occuparsi di fotografia a livelli molto alti. Probabilmente l’abitudine e la necessità a studiare e saper descrivere il territorio e le connessioni tra l’habitat e l’uomo che lo fruisce, creano condizioni favorevoli a un’indagine fotografica che non può essere soltanto mera descrizione ma diventa analisi e riflessione.
È il caso di Paolo Rosselli un architetto che sin dopo la laurea si è dedicato alla fotografia, rinnegando in un certo senso gli studi universitari, e che ha focalizzato la sua attenzione soprattutto intorno al racconto dei luoghi urbani e alle persone che li abitano. Un taglio reportagistico antropologico-sociale dove la visione urbana − declinata in tutti i suoi aspetti: non solo gli edifici landmarks, antichi e contemporanei, ma anche situazioni marginali, secondarie, poco appariscenti – si intreccia con presenze umane dirette o allusive.
È il tema e la modalità che attraversa una delle sue ricerche più recenti Scena mobile, dove gli scorci di diverse città del mondo sono filtrati quasi sempre da una visione fortemente caratterizzata: dall’interno dell’abitacolo di un’autovettura, dalle finestre di un grattacielo o da un diaframma, da una cornice, qualunque sia, che determina la posizione del fotografo e quindi dell’osservatore della fotografia. Si tratta di una sorta di contestualizzazione che, ponendo in primo piano un elemento riconoscibile, libera la fotografia dall’astrazione puramente descrittiva del luogo per guidare lo spettatore nel luogo.
In Scena mobile, inoltre, i fotogrammi ripresi dall’interno di un autoveicolo sono ulteriormente caratterizzati dalla presenza, sul cruscotto, di pupazzetti e gadget che accentuano lo straniamento tra la vita reale, quella quotidiana che si intravede oltre il parabrezza, e una dimensione simbolica dove gli oggettini simpaticamente kitsch rifanno il verso, in modo ironico, ad alcuni miti del nostro tempo: la forza, il sesso, la fama e via dicendo.
Le strade e i panorami sono ripresi secondo modalità stilistiche diverse a seconda di quello che il fotografo vuole raccontare: si va dalle scene convulse riprese ad altezza d’uomo dove persone, oggetti ed edifici si accavallano riempiendo il fotogramma di innumerevoli piani, ai più suggestivi panorami ripresi dall’alto con luci morbide, serali, dove le distese urbane paiono raggiungere la quiete di una descrizione meno convulsa e più poetica, malinconica, che pare assorbire, nel piano lunghissimo, i rumori e i movimenti a livello del suolo.
Attento e acuto studioso del fotografico – del senso ultimo cioè del fare fotografia: non è un caso che, giovanissimo, abbia frequentato, anche se per breve tempo, lo studio di Ugo Mulas – Rosselli dà un notevole contributo teorico alla riflessione sulla fotografia attraverso i suoi interventi scritti presenti nelle sue pubblicazioni. È il caso di un altro suo recente volume Sandwich digitale. La vita segreta dell’immagine fotografica, in cui il percorso visivo è accompagnato da molti e corposi suoi testi intorno alle sue esperienze, all’atto fotografico, alle nuove possibilità di manipolazione e di interpretazione offerte dal procedimento digitale. Anche in questo lavoro si alternano fotografie riprese in diverse città del mondo con modalità stilistiche che tendono sempre a sottolineare questa sorta di straniamento dell’uomo nel mondo contemporaneo e soprattutto all’interno dei grandi agglomerati urbani, dove, come sottolinea l’autore, pare quasi di perdersi davanti a moderni edifici omologati dall’architettura e dall’urbanistica internazionale. La teoria dei non luoghi – quella del sociologo Marc Augé che ha avuto tanta fortuna negli ultimi anni −  pare  dominare nelle fotografie di chi incentra il suo interesse sui luoghi urbani contemporanei, proprio perché tutti i luoghi tendono ad assomigliarsi: compito del fotografo è scoprire le differenze, con un’operazione maieutica in cui, per Rosselli, il procedimento digitale serve anche a superare la vecchia modalità analitico-descrittiva per articolare l’indagine visiva su più livelli: «Oggi si riparte» scrive Rosselli «pensando l’immagine come un accumulo di combinazioni visive che fanno procedere la fotografia un po’ più in là». Forte della tradizione artistica e culturale europea e italiana, l’autore insegue una profonda ricerca di senso non solo sugli aspetti antropologici dei luoghi indagati ma anche sull’atto stesso del fotografare.