Recensioni / Comiche

Quando, nel finale di Comiche - il libro con cui Gianni Celati esordì nel 1971, tornato ora in edizione accresciuta - il personaggio narrante e scrivente, che in pagine esilaranti e angosciose transita un po' di sghembo attraverso numerose e tutte dissestate identità, fugge a bordo di un «ciclomotore» e letteralmente prende il volo, mentre dalla valigia che si apre cadono volteggiando gli oggetti su cui si concentrava la sua ossessione di segretezza stabilmente violata, i panni sporchi e i fogli del suo quaderno, chi legge non può reprimere un trasporto entusiasta, e ha voglia di volarsene anche lui assieme a questo matto irresistibile, su un'aerea traiettoria di evasione.
I movimenti verticali del libro erano stati tutti, fino al grande risarcimento conclusivo, diretti verso il basso, e molte volte il protagonista aveva sognato di «sfracellarsi». Il manicomio che lo ospitava era un luogo di scale, corridoi, stanze, cortili e «cessi» che egli percorreva con movimenti frenetici, tallonato da voci minacciose, altri degenti malevoli, infermieri e guardiani ansiosi di «correggerlo». Attraverso il mite delirio di un «professore» lunatico, visitato da ignoti fantasmi che gli «rubano il pensiero» e gli si sostituiscono nella stesura del suo diario, e fatto oggetto di complotti a sfondo sessuale e politico da parte di compagni di reparto perversi e «monarchici», l'orrenda realtà manicomiale emerge, forse proprio perché filtrata, in tutta la sua durezza. E se lo stile di scrittura - un delizioso e surreale insieme di burocrazia e accensioni fantastiche, farraginosi costrutti scritti e continue spezzature orali, manierismi da manuale psichiatrico e minuscole tessere di incanto assoluto - cattura l'attenzione incoraggiando l'inseguimento del «tono», l'altro procedimento fondante del libro, ossia la sua costruzione sulla falsariga dei momenti più convulsi degli slapstick movies, restituisce alla comicità delle Comiche tutta la forza del tremendo. ln un saggio dedicato ai fratelli Marx e scritto in anni vicini a quelli della stesura di Comiche, Celati insiste sulla «mischia» in cui si risolvono i loro film, sull'azzeramento delle distanze e sul trattamento dello spazio come ambiente di assemblaggio e propagazione di un grande flusso schizofrenico e transpersonale di oggetti e corpi. E molti passaggi di Comiche si possono leggere così: concatenamenti in-sensati di gesti in cui lo spiraglio verso la gioia e la danza del puro divenire viene sempre sbarrato e ci si ritrova nell'incubo della completa distruzione di ogni intelligenza.
È molto interessante leggere la riscrittura parziale, o la porzione di riscrittura, data in coda a questa nuova edizione. Non tanto, direi, per la scelta autoriale di costruire un dettato un poco meno franto, quanto invece per un cambiamento nel personaggio del professore. Che nelle pagine del 1971 era senza incrinature l'eroe positivo, se si può dire qualcosa del genere, e nella
nuova versione invece almeno in un caso viene contagiato e prende a sua volta ad «abusare», guadagnandosi le lodi del guardiano e del «ministro Cacone». Rimane a questo punto la curiosità di sapere come sarebbe stato il nuovo finale: se quel magnifico volo sarebbe rimasto, o sarebbe stato rimpiazzare da qualcosa di molto più cupo.