Recensioni / Stupore e dialettica

Un piccolo e luminoso gioiello del pensiero di Pavel A. Florenskij si aggiunge, per il lettore italiano, a quanto, della sua opera sterminata e ancora in larga parte misconosciuta, va emergendo in questi anni. Il grande russo fu - come ricorda il curatore Natalino Valentini nell'introduzione a questo saggio scritto tra il 1918 e il 1922 e intitolato in origine “Dialektica” - filosofo della scienza, fisico, matematico, ingegnere elettrotecnico, epistemologo, teologo, pedagogo, teorico dell'arte e della filosofia del linguaggio, studioso di estetica, simbologia e semiotica. Per la prima volta tradotto in italiano da Claudia Zonghetti, questo breve saggio può essere visto come un'introduzione al suo pensiero e come viatico agli studi filosofici. Al centro, scrive ancora il curatore, vi troviamo “il riconoscimento dello 'stupore' come nocciolo della filosofia: la vera filosofia dialettica sgorga dalla sorgente della "meraviglia" e dello "stupore"; essa è una relazione viva con il reale, un'esperienza ininterrotta e dinamica della conoscenza”. Florenskij chiama a raccolta, “in un insospettabile convivio, alcuni dei suoi testimoni più autentici: Platone e Goethe, il principe Amleto e Dostoevskij, Bacone e Cartesio, l'abate Condillac e Kant, Novalis e Schelling, la prima tradizione apostolica e la fulgida mistica russa". Il modello di Florenskij è l'apostolo Tommaso, l'incredulo che si fa conquistare dalla meraviglia e che della meraviglia fa lo strumento per la piena conoscenza "delle verità ultime della vita e della morte", in una "contemplazione mai paga della realtà" e in un "dialogo sempre nuovo del pensiero con la vita nel suo incessante e cangiante fluire". Troviamo riassunti i temi fondamentali del pensiero di Florenskij, gli stessi sui quali egli continuerà incessantemente a meditare - come testimonia il suo epistolario con la famiglia - anche nei cinque anni di reclusione trascorsi nel gulag delle isole Solovki (era stato accusato di "attività controrivoluzionaria") e che furono preludio alla sua fucilazione, avvenuta l'8 dicembre del 1937, nei pressi di Leningrado. Il rapporto tra realtà e simbolo, tra pensiero e linguaggio, tra sapienza e mistero e, come si è già detto, tra stupore e conoscenza, sono indagati da Florenskij nell'ambito di una "contemplazione pensante" che salva da ogni meccanicismo. Il termine "dalettica" non va inteso nel senso che gli ha dato il linguaggio filosofico moderno, ma in quello di "pensiero vivo", in legame dinamico con la realta viva. Guardare il mondo come "unico insieme": è l'atteggiamento pienamente umanistico - rinascimentale - di Florenskij. Il quale padroneggiava da maestro i linguaggi scientifici (a cominciare da quello matematico), e che per questo potrà scrivere a ragion veduta: “ln realtà "la" Scienza non esiste, mentre esistono le diverse scienze, che con il solo fatto di esistere si negano l'una con l'altra... e ogni volta, e continuamente, è la vita stessa a cacciare la scienza dalla posizione conquistata e a rivelare sia la pochezza del campo tracciato, sia l'artificiosità forzosa del punto di vista prescelto. Intendo dire che è la vita stessa a spazzare via gli argini entro i quali la scienza vorrebbe costringerla”. La storia della scienza “non è il districamento di una matassa, non è sviluppo, non è evoluzione, bensì una serie di piccoli e grandi sconvolgimenti, “distruzioni”, rovesciamenti di fronte, scoppi e catastrofi". È fatta invece di “fittizie vittorie sulla vita, unite alla pretesa di essere sempre uguale a se stessa", mentre “riconoscere la non-verità della scienza significa dire "sì" al Tempo, dire "si" alla Vita, cioè fare del Tempo e della Vita il proprio metodo". E' il metodo che ci mostra Platone, nel dia-logo di Socrate con Eutifrone. Così nasce la dialettica e “riprendono vita i simboli della realtà".