Scorrendo anche distrattamente le pubblicazioni curate dall'autore del
volume Adolf Loos e Vienna osserviamo come il campo gravitazionale in
cui fluttua la ricerca storica dello studioso Marco Pogacnik sia quello
di area tedesca e mitteleuropea con riferimento a figure note
dell'architettura e parallela riflessione al prestigioso sviluppo della
tradizione storiografica rappresentata dalla Scuola di Vienna. Il
recente volume inaugura la collana dell'unità di ricerca Arte del
Costruire, attivata presso lo IUAV di Venezia, che pone l'accento
sull'analisi e comprensione della materialità esecutiva e sulle
tecnologie impiegate nella realizzazione delle opere.
Il primo capitolo svolge il tema che dà il titolo al volume e può
risultare ingannevole: non è infatti il solito riferimento all'opera
dell'autore sullo sfondo dell'immenso affresco costituito dalle "arti a
Vienna nel primo '900", ma è piuttosto la passeggiata di Loos attraverso
le strade della città ritmata da numerosi brani ripresi dal libro
Parole nel vuoto, che raccoglie scritti e conferenze dell'architetto.
Così Pogacnik letteralmente ci conduce in pellegrinaggio verso il "più
bell'interno, il più bel palazzo, il più bell'edificio che muore, il più
bell'edificio nuovo, la più bella passeggiata di Vienna"[1] ,
illustrandoci l'intricata politica di piano dell'amministrazione
viennese del tempo e i ruoli di differenti attori protagonisti, alcuni
dei quali coinvolti nella costruzione della casa sulla Michaelerplatz.
Karl Mayreder, per esempio, presso il cui studio professionale Loos
trovò impiego ritornato nel 1896 dagli Stati Uniti o il Consigliere per
l'Urbanistica di Vienna H. Goldemund, personaggio chiave di riferimento
per la riuscita dell'operazione immobiliare promossa dalla ditta Goldman
& Salatsch e dell'architettura di Loos.
Nel secondo capitolo del volume emerge con chiarezza quanto abbia
contato per la riuscita dell'opera, la perfetta organizzazione messa in
piedi dai committenti della "premiata sartoria": architetti, ingegneri,
avvocati, imprese, tecnici comunali e politici, probabilmente tutti
clienti della ditta; teniamo presente al tempo stesso l'importanza del
sito nel cuore della Vienna storica tra Residenza Imperiale e Chiesa
barocca. L'operazione immobiliare, studiata nel dettaglio grazie
all'approfondita e inedita ricerca d'archivio illustrata, trova nel
valore d'acquisto dei fabbricati, nella loro demolizione e nella
successiva riedificazione con i nuovi allineamenti edilizi richiesti dal
piano regolatore, una precisa motivazione commerciale e una definitiva
lettura cronologica alla luce della complessità stessa dell'operazione.
Dalla definizione quindi della "baulinie", stupisce oggi la velocità
esecutiva pur frenata dai numerosi problemi sopraggiunti in corso
d'opera. Risulta affascinante leggere tra le pieghe delle prime proposte
progettuali della Looshause il laboratorio in cui per la prima volta si
sperimenta "in maniera compiuta il raumplan", motivato dalla "complessa
strategia delineata dal Consigliere Goldman volta a recuperare la
superficie ceduta al Comune come area pubblica aumentando la densità del
volume edificato". "Ho insegnato ai miei allievi a pensare in tre
dimensioni, a pensare al cubo"[2], spiega lo stesso Loos parlando della
sua scuola di architettura nel 1913.
Il terzo e conclusivo capitolo finalizzato alla comprensione più
materiale e costruttiva del progetto, si apre con un'impegnativa
dichiarazione di Pogacnik che considera le forme dell'involucro esterno
dell'edificio loosiano "come espressione di un tema architettonico
indipendente da ogni considerazione di tipo funzionale". Il cantiere
aperto nel cuore di Vienna nel 1909 prevede e porta a termine in tempi
ristretti una costruzione completamente in cemento armato.
Il confronto istituito dalle fotografie d'epoca proposte, tra lo stato
del cantiere all'opera finita con colonne monolitiche e rivestimenti,
costituisce un ulteriore, inevitabile passo avanti nell'ampia
trattazione proposta dall'autore: è questo lo scandalo che innesca la
campagna giornalistica contro l'architettura e l'architetto. Il "nuovo
materiale" impiegato nella struttura portante dell'edificio mostra nelle
grandi luci dei portali sovrapposti, verso la piazza, la vertigine
delle nuove possibilità spaziali offerte dalla moderna tecnologia.
La sezione "Atlante dei disegni" costituisce un punto fermo per future
letture grazie ai disegni a colori, accompagnati da note, che illustrano
l'iter progettuale alla luce delle scadenze delle commissioni edilizie.
Forse la sezione "Archivio Fotografico", che rileva lo stato di fatto
dell'edificio, avrebbe meritato immagini di maggior formato in parte
messe a confronto con quelle eseguite durante il cantiere del ripristino
filologico degli interni, eseguito nel 1989.
Il rilievo delle facciate dell'edificio, realizzato dal Laboratorio di
Fotogrammetria IUAV di Venezia, e le elaborazioni presentate hanno
costituito il riferimento ultimo per la verifica delle successive
varianti del progetto. Alla vigilia della tragedia della Prima guerra
mondiale e alla caduta dell'Impero Asburgico, stupisce notare che dopo
la campagna di stampa che conterà più di 600 articoli sui giornali,
dalla sua inaugurazione avvenuta nel 1912, "sull'edificio calò
all'improvviso un assordante silenzio".
Dal primo dopoguerra il lavoro di Loos proseguirà a Vienna, Parigi e in
Cecoslovacchia con alterne fortune, fino alla morte nell'agosto del '33
con Hitler cancelliere del Reich dal gennaio dello stesso anno.
Delle molte storie che il volume racconta una, solo tangenzialmente
legata alla lettura critica dell'edificio, ci ha colpito in modo
particolare ma è un epilogo: venire a sapere che dei due committenti
l'uno, Leopold Goldman, poco più giovane di Loos, verrà deportato nel
'42 e non arriverà mai al campo di concentramento di Minsk e che il suo
socio Emmanuel Aufricht, deportato nel '41, verrà fucilato nel campo di
Riga in Estonia.
[1] Adolf Loos, Parole nel vuoto, Milano, 1980, pag. 199
[2] Adolf Loos, Parole nel vuoto, Milano, 1980, pag. 264