Recensioni / Una macchia nel cuore dell'Europa

Il nuovo monumento per l'Olo­causto che sarà inaugurato il 10 maggio a Berilno ha una sola iscrizione: «Memoriale per gli ebrei d' Europa assassinati». Non c'è altro, non un nome, non una dedica, non una stella di Davi­de. Niente che possa sollecitare una reazione diretta. Ci sono però 2751 stele grigio scure di cemento armato di diverse dimensioni, co­struite all'aperto in perfetto ordi­ne, ossessive, l’una di fianco all'al­tra. Alcune sono inclinate, appena di qualche grado: rappresentano le crepe della follia, già im­plicite nella ricerca di perfezione del regime nazista. Formano un in­treccio di corridoi e si aprono nella città attra­verso le quattro strade che definiscono il perimetro del memoriale, vi­cino alle porte di Bran­deburgo. E’ un monu­mento senza ingresso preciso. Per entrare ba­sta imboccare uno qua­lunque di questi mille corridoi, poi ci si perde all'intemo. I corridoi so­no ondulati e quando scendono, con le stele che si fanno sempre più alte, ti sembra di sprofondare nell'oscurità. È costruito per evoca­re le sensazioni di vuoto, di ansia, di solitudine che provavano i de­portati strappati alle loro case con i loro figli. È efficace, grandioso, silenzioso. Ma è anche rappresenta­tivo di una costante ebraica: «L'an­sietà dell’ebreo laico e il suo nifu­giàrsi nel fattore mimetico, il suo destino di essere all'ombra della cultura dominante, la sua condan­na a essere diverso anche quando pensa di essere integrato», dice Pe­ter Eisenman, l'architetto che l'ha reallizzato e che mi accompagna in un giro del memoriale.

Eisenman è un grande intellettua­le laico, cresciuto nelle avanguar­die, un manovratore, distaccato da tradizioni e convenzioni, il padre del decostruttivismo in architettu­ra. È un ebreo che con l’ebraismo ha sempre vissuto un rapporto am­biguo, bipolare: egli stesso trafitto dall'ansia di essere escluso e dalla necessità di rifugiàrsi nel fattore mimetico. Trascinato, come molti dei deportati, nella sua condizione ebraica anche quando pensava di averla dimenticata. Mj racconta di essere stato attaccato dagli ebrei religiosi che non lo volevano que­sto monumento, per non attirare l'attenzione di nessuno; di essere stato criticato da atei intellettuali convinti che, grazie al monumento, I tedeschi si sono messi la coscien­za a posto a buon mercato; di esse­re stato ostracizzato dalla comunità ebraica tedesea, ossessionata dall'idea di costruire qualcosa di piü appropriato, di più illustrativo. In questo caso si è raggiunto un compromesso. Al memoniale è sta­to annesso un museo sotterraneo con materiale iconografico: nel sof­fitto sono riprodotte ie ondulazioni della superficie e le basi delle ste­le: «Avrebbero preferito una scultu­ra di quattro ebrei magri, tristi e piegati dalla disperazione... Ma questo è un monumento dedica­to all'oppressione di tutti. Ho sbattuto questo monumento di­rettamente in faccia del mondo, di fianco alle porte di Brande­burgo, a 300 metri dal Reich­stag, nei giàrdini della vecchia aristocrazia tedesca, a pochi me­tri dai bunker di Goebbels e di Hitler. E nel cuore dell'Europa ‑ continua Eisenman, animandosi. Sara qui per sempre, come una voce scomoda del secolarismo in un'epoca in cui il secolarismo sta battendo la ritirata».
Eisenman è un ebreo secolare di antica immigrazione tedesca. La sua storia sembra tratta dall' ultimo romanzo di Philip Roth. Plot against America. Nasce a Newark, in New Jersey, a Orange County, nel 1932. 1 nomi che ascolta in famiglia sono quelli dei Lowy, degli Hellen, dei Meier. Richard Me­ier, un altro grande architetto americano, è un suo lontano cugino. Da sempre la famiglia Eisenman si identificava molto piü nella propria appartenenza americana che nella religione ebraica. La  nonna Fanny classe 1876 fu decorata con la medaglia per gli infanti del cen­tenario dell'indipendenza america­na. IL bisnonno, Philip Lowy, face­Va l’albero di Natale e fondò la prima sinagoga riformata del New Jersey. Quando mori, però si fece seppellire in un cimitero protestan­te. Il padre, Herschel Eisenman era un ribelle, quasi un comuni­sta, ma solo fino al 1938. In quell'anno con il terzo processo di Mosca, disgustato da Stalln, Herschel, che era proprietario di un allevamento di polli, divenne conservatore. L'ebraismo in famiglia è marginale. L'assimilazione è forte, come per molte altre famiglie ebraiche laiche deter­minate a diventare "normali", anche a discapito della tradizione ebraica. Lo shock per il piccolo Peter arriva in quarta elementare, quando il suo miglior amico e compagno di banco gli dice che da quel giorno non potrà più andare a casa sua a giocare perché è un ebreo. Il dolore è forte, lascia il segno. Per la prima volta Peter avverte quel senso di esclusione che lo accom­pagnerà per il resto della vita. Da adolescente, si accorgerà della por­tata dell'antisemitismo in New Jer­sey, dove al Maplewood Country Club o al Lawn Tennis Club gli ebrei non sono ammessi. Affiora la contraddizione, ancora forte nell'America di Roosevelt degli anni 40, di partecipare sì alla vita e alle sfide politiche di un mondo laico, ma di farlo in un contesto di discriminazione. Peter decide che non sposerà mai una ragazza ebrea per non perpetuare il dramma dell'esclusione. Manterrà la pro­messa. Cercherà sempre più rifu­gio nel secolarismo adottando quel­la strategià mimetica che caratteriz­zerà buona parte della sua vita.
Eisenman racconta queste sue vicende interiori con grande apertu­ra e passione. Di­ce di non averlo mai fatto prima. Ma questa ambivalenza nei con­fronti della sua identità spiega un suo tratto poetico centrale: l'idea­zione di opere divise, le cui parti "tirano" in due direzioni. Nel pro­getto per la chiesa del 2000 a Ro­ma (che si è poi aggiudicato il cugino Richard!) la navata centra­le è all'aperto, e separa i due corpi laterali. E un'influenza reale? Ne parliamo davanti a un piatto di "literarische" al curry da Theodor Tucher, uno dei suoi ristoranti pre­feriti a Berlino, vicino alle porte di Brandeburgo. Eisenman non lo esclude, ma ricorda che il suo con­flitto personale tra ebraismo e assi­milazione sparisce nella Cambrid­ge completamente liberata all'ini­zio degli anni Sessanta. E in que­gli anni che sposa una ragazza della buona società britannica, di­scendente di Darwin: «Per la pri­ma volta dalla mia infanzia ‑racconta ‑ ho ritrovato la sensa­zione della completa assimilazio­ne, non sembrava che attorno a me ci fossero ebrei, e partecipavo alla messa nella cappella di Christ Do­minus». Al ritorno in America c'è lo scontro con realtà antisemi­te latenti anche nell'accademia. Presenti persino a Princeton, do­ve va a insegnare e dove insegna tutt'ora. Allo stesso tempo la sua carriera decolla rapidamente. La­vora con Michael Graves. Con lui e altri tre colleghi, Charles Gwath­mey, Richard Meier e John Hejduk, allestisce nel 1967 una mostra rivoluzionaria sull'archi­tettura moderna al Moma. È in quegli anni che Eisenman passa dall'influenza di Cohn Rowe a quella dell'architetto italiano Man­fredo Tafuri e pochi anni dopo a quella di Jacques Derrida, da cui deriverà il decostruttivismo in ar­chitettura. Anche se la componen­te ebraica a questo punto è lontana dal cuore di Eisenman, c'è di nuo­vo una curiosa coincidenza: sia Tafuri che Derrida sono ebrei lai­ci. Tafuri è scampato in circostan­ze rocambolesche alla persecuzio­ne nazista alla periferia di Roma; Derrida era un rifugiato dall'Algeria. Entrambi  avevano sof­ferto il trau­ma della "di­slocazione".Eisenman con loro ne parla, ma in modo margi­nale: il "fatto­re mimetico" alla fine pre­vale. Alme­no costruzione del monu­mento. In questo monumento, osser­va, c'è un'idea della memoria molto distin­ta da quella della nostalgià. C'è anche la forte presenza fisica, una grande mac­chia nera che non può essere igno­rata da nessuno. Per Eisenman il fattore mimetico è ormai esorciz­zato. Ma è convinto che l'ansia dell'ebreo secolare gli resterà, probabilmente per sempre.

Yad Vashem a Gerusalemme, il United States Holocaust Museum a Washington, il Memo­rial de la Shoah a Parigi. I più importanti monumenti in ricordo del genocidio nazista erano sorti finora al di fuori della Germania, dove fino a poco tempo fa il ricordo dell'Olocausto veniva tenu­to in vita soprattutto tramite interventi molto circo­stanziati e mirati. Piccole lapidi sugli edifici nei quall un tempo abitavano personalltà ebraiche, mu­sei e centri di documentazione nella Villa Wannsee o nell'ex quartier gene­rale della Gestapo a Berlino, sculture sorte nei luoglii che furono teatro del­lo sterminio. Quello che verrà invece inaugurato il prossima 10 maggio in prossimità della Porta di Brandenbur­go a Berlino rappresenta una significa­tiva cesura nella tradizione commemo­rativa tedesca.

Il nuovo, immenso Memoriale del­l'Olocausto progettato dall'architetto americano Peter Eisenman è un monu­mento volutamente artistico e astratto che sorge inoltre su di un'area non direttamente riconducibile alla Shoah. In futuro però, questo è già certo fin da ora, sarà uno dei luoglii simbolici più importanti e significativi al quale verranno associati i ricordi dell'Olocausto, alla stregua dei campi di Auschwitz­Birkenau, Theresienstadt, Stutthof o Treblinka. Ed è proprio questo uno dei "peccati originall" del nuo­vo monumento berlinese sul quale pesa il dubbio che il premio Nobel alla letteratura Imre Kertész ha riassunto in questi termini: «Non è che con l'inaugu­razione di sempre nuovi memoriall, l'Olocausto stesso venga rimosso e per così dire storicizzato ?».

Il memoriale delle polemiche

Walter Rauhe

IL Memoriale sorge su di un'area di l9mila metri quadrati (grandi all'incirca come tre campi di cal­cio) compresa tra la Porta di Brandenburgo e la Potsdamer Platz. Eisenman vi ha eretto 2.75] stele rettangolari in cemento armato, ciascuna con altez­za e inclinazione leggermente diversa, e disposte a scacchiera su di un campo scosceso formato da leggere dune artificiall che tracciano delle lunglie, immobili onde nel mare di cemento. I visitatoripotranno accedere al monumento passeggiàndo tra le stele e perdendosi nel suo labirintico paesag­gio. L'impressione è quella di penetrare un luogo surreale, claustrofobico, inquietante. Un luogo che Eisenman ha voluto privo di riferimenti tempo­rall o storici, privo di simboli, completamente scarno di contenuti didattici (concentrati invece in un centro di documentazione sotterraneo reallzza­to direttamente sotto il Memoriale). Un'opera d'arte, un'architettura astratta, un monumento scomodo e non puramente decorativo. L'idea del memoriale risale al 1988, quando la giornallsta televisiva Lea Rosh, lamentando la mancanza in Germania di un monumento naziona­le in ricordo delle vittime dell'Olocausto, mise in moto il dibattito. Nel ]992 anche l'allora governo di Helmut Kohl appoggiò l'iniziativa indicendo un concorso internazionale d'architettura al quale parteciparono 528 progetti. Nel 1995 una giuria formata da storici premiò quello della tedesca Christine Jackob Marks che prevedeva un 'enorme tavola niortuaria in granito con scolpiti i nomi delle vittime della Shoah. Nel 1995 Kohl pose il veto contro il progetto vincente indicendo, due anni dopo, un nuovo concorso. Ad aggiudicarselo furono questa volta Peter Eisenman e Richard Serra, ma ancor prima dell'inizio dei lavori, nell'ottobre del 2001, Serra si ritirò dal progetto perché contrario all'aggiunta del centro di docu­mentazione sotterraneo voluto invece dal parla­mento. Né fu questa la fine delle polemiche e dei colpi di scena. Creò scalpore e un certo fastidio ad esempio l'uso di vernici anti graffitti della società tedesca Degussa, che durante il Terzo Reich produceva sotto altro nome il veleno Zyklon B utilizzato nelle camere a gas. Una manifestazio­ne di neonazisti in prossimità del cantiere del Memoriale nel 2002 sollevò inoltre numerosi dub­bi di ordine pubblico e morale nell'opinione pub­blica, tanto che nel frattempo il Bundestag ha varato una legge che vieta simili adunate nelle vicinanze di luoglii storici e simbolici legati all'Olocausto. E per finire le critiche delle altre vittime del nazionalsociallsmo, i roni, gli omoses­suall, i rappresentanti delle chiese cristiane, i por­tatori di handicap, in una sorta di macabra spciallzzazione commemorativa. Polemiche che riecheggeranno anche tra le stele dell'imponente quanto suggestivo e silenzioso Memoriale di Eisenman.