Recensioni / Carlo Tosco studia in modo originale il rapporto di Petrarca con il paesaggio e l'architettura del suo tempo

«Roma è più grande di quel che io pensavo, e più grandi le sue vestigia. Non mi meraviglio che il mondo sia stato domato da questa città». Con queste parole, tratte da una lettera al cardinale Giovanni Colonna, Petrarca descrive il suo primo incontro con l'antica capitale, tappa obbligata di uno dei tanti viaggi compiuti in Italia e in Europa. Perché Petrarca fu certo scrittore, traduttore e umanista, ma anche acuto viaggiatore, osservatore, e, più in generale, cultore della dimensione spaziale e dell'arte figurativa.
A testimoniarlo è questo interessante saggio di Carlo Tosco, Petrarca: paesaggi, città, architetture, che affronta il delicato tema del rapporto tra Petrarca, il viaggio e la sua narrazione, affidandosi a un percorso tematico diviso in tre sezioni distinte: l'architettura, la città, il paesaggio. Ad emergere, innanzitutto, è l'interesse per l'architettura classica (mediata, tra l'altro, dalla lettura di Vitruvio), che nel contatto con le vestigia di Roma sembra trovare la sua massima realizzazione. A Roma si affianca una carrellata di descrizioni e testimonianze particolarmente presenti nel carteggio, in cui alla contemplazione di opere del passato si accompagna quella dei monumenti del suo tempo, come la basilica di San Marco o il castello visconteo di Pavia. Seguono, nell'ordine del saggio, le testimonianze del Petrarca geografo, cultore di cartografia e attento esploratore di spazi urbani e rurali (dall'Italia, alla Francia, alla Germania). ln ultimo, viene il tema del paesaggio: un terreno narrativo in cui Petrarca si rivela, a partire dal Canzoniere, il vero antesignano della moderna concezione estetica del tema nel quadro letterario europeo.
ln ognuno di questi spazi è la letteratura classica a fare da guida ai percorsi petrarcheschi: l'interesse per le questioni geografiche nasce sempre dallo studio di fonti latine quali Cesare, Virgilio e Plinio, oltre il già citato Vitruvio. Ed è il mondo classico ad intrecciarsi inevitabilmente con i racconti di viaggio, creando una combinazione di allegoria e realismo, di reminiscenze letterarie e cronaca. Ne sono esempi perfetti la narrazione della visita al porto di Baia, il cui itinerario viene steso sulla base dei luoghi presenti nell'opera di Virgilio; o il racconto di un viaggio immaginario, in un libello del 1358, in Terrasanta, che vede la sua conclusione non in Gerusalemme, ma ad Alessandria d'Egitto, presso la tomba di Alessandro il macedone. Su un punto Tosco tiene ad essere chiaro: Petrarca resta, in alcuni degli stilemi dei suoi scritti come nella concezione degli spazi antichi e moderni, un uomo del Trecento, tanto riscopritore del classico - e, quindi, precursore dell'umanesimo - quanto «aperto alle contraddizioni del suo tempo» e dei suoi spazi. «L'antichità non prevale in modo incondizionato», come accadrà a partire dal Quattrocento. «lnsieme ai monumenti romani, anche le opere della sua epoca risultano spesso apprezzate e condivise».
Ne scaturisce, in definitiva, il ritratto di un Petrarca già conosciuto ma, per certi versi, inedito, homo viator tra biblioteche, città e spazi naturali: un possibile ed interessante ampliamento di quanto la memoria scolastica associa normalmente all'autore.