Recensioni / Margherita Morgantin, immersi nel linguaggio

Margherita Morgantin ha sempre lavorato dando vita a condizioni di instabilità sia semantica che emotiva, la stessa in cui ci si trova quando si ha a che fare con lei, ruvida e tenera nello stesso istante, glaciale e appassionata nel volgere di pochi secondi. Le misurazioni, gli schemi, i tentativi di fissare e interpretare l'esistente attraverso leggi reali o parodiate hanno costellato gli allestimenti delle sue mostre così come i suoi taccuini, insieme a disegni impertinenti, a volte schizzi minimi, altre volte paesaggi minuziosi seppur sempre veloci, superfici di libertà ove fermare disappunti passeggeri, sottolineauture ironiche, note affettuose, ove ospitare osservazioni argute scaturite dall'immersione sorridente e convinta nella più corrente normalità. La filosofia e la fisica sembrano le sponde del suo ritrovarsi, mentre ingvernabili sabbie mobili emozionali assorbono fecondi smarrimenti. La passione per il linguaggio e le sue possibili derive, le sue rinnovantesi risorse, alberga nel mezzo e continua a motivare il cercare.
Ambivalenza latente non polarizzata (Unpolansierte Latente Ambivalenz) suggerisce Warburg ripreso da Agamben. Il testo in maiuscole colorate su campi cromatici differenti prova a dar verifica dell'enunciato su una parete bianca di L'A project. Nella stessa stanza, l'andamento dei venti, nel rispondere all'incessante e bizzarro rapportarsi di caldo e freddo - ovvero ad una dialettica di tensioni latenti - offre un campo di esperienza al continuo palesarsi delle possibilità , al dispiegarsi dell'ambivalenza. Nello spazio palermitano, Morgantin dà vita ad un clima e rintraccia nella polisemia della contingenza climatica - ma forse sarebbe più bello dire della prossemica climatica - un momentaneo, fugace ma sgargiante istante di equilibirio.
Aveva progettato una performance con lavavetri africani che dipingessero di blu la parete dello spazio espositivo, ripetendo serialmente il loro gesto quotidiano del lavare vetri d'automobile. Dopo prove e controprove, questa esperienza performativa, intrisa di autentica ed estensiva identità climatica, si è sintetizzata in un semplice binomio, ossia in un momento del linguaggio, ed è diventata  il denso titolo della mostra, Blue Brancaccio.
Serialità e tensione nell'anelito ad un equilibrio sempre improbabile ma sempre possibile, sbilanciato, differente, periferico: condiviso. Forse potrei riassumere in questo modo il prezioso sussidiario  (Quodlibet, 2012) che Morgantin ha pubblicato insieme a Michele Di Stefano - performer e coreografo, componente del gruppo mk - a seguito di un laboratorio svolto congiuntamente a Bologna per la seconda edizione di Accademie Eventuali. Con il titolo Agenti autonomi e sistemi multiagente - nozioni che appartengono all'ingegneria ma che in questo lavoro che ruota intorno al linguaggio e alle sue possibili ricadute sulla gestione della corporeità vengono ampliate a molteplici occasioni di senso - il volumetto, davvero prezioso, si presenta come una agile concentrato di affermazionie istruzioni nello spazio intermedio, e da condividere, tra performance, arte visiva e teatro. A patto che si ricordi sempre del fatto che la geografia non è soltanto una materia che si studia a scuola