Recensioni / Gli scali ferroviari nel futuro di Milano




Il volume a cura di Laura Montedoro parte da una riflessione sulla rilevanza che i sette scali ferroviari milanesi dismessi hanno per i processi di trasformazione urbana e di messa a punto di un’idea di città. Il volume raccoglie numerosi contributi: una prima parte contiene dei saggi di indirizzo volti a delineare le sfide cruciali per Milano; la seconda parte dedica spazio a diverse sperimentazioni progettuali per il riordino degli scali; la terza propone, infine, una sorta di verifica “a più voci” delle ipotesi sviluppate, interrogando figure di rilievo culturale, fra cui Luigi Mazza e Pierluigi Nicolin.
La questione della valorizzazione degli scali ferroviari, e dei processi di rigenerazione urbana che potrebbero derivarne, è in strettissima correlazione con quella che riguarda altri vuoti urbani di aree produttive (in molti casi dovuti alla recente fase di crisi economica) e ai grandi contenitori dismessi (ex caserme, ex ospedali, ex mercati generali, ex macelli, ex impianti energetici).
Tutte le principali città italiane sono attraversate da fenomeni di dismissione complessivamente rilevanti, rispetto ai quali spesso non si è in grado di valutare l’entità complessiva e i possibili effetti sul tessuto urbano.
Il tema della dismissione e valorizzazione dei patrimoni pubblici fa ormai parte del dibattito politico italiano da alcuni anni ed è legato alle esigenze finanziarie dello stato nazionale, di società a prevalente capitale pubblico o di enti pubblici locali (regioni, comuni, aziende sanitarie). Nel dibattito politico-amministrativo il problema è prevalentemente tematizzato secondo questioni di natura contabile, l’esigenza di “fare cassa”, spostando in secondo piano altri aspetti legati alla pianificazione, alla gestione delle politiche urbane, ai processi di valorizzazione culturale e alla promozione del territorio.
I Comuni non riescono a utilizzare o valorizzare il patrimonio pubblico dismesso o in corso di dismissione come occasione di sviluppo urbano; molte inerzialità, dovute ad un insieme molto ampio di fattori, hanno avuto ripercussioni negative, sia in termini di vivibilità degli ambiti interessati, sia in termini di ostacolo a possibili progetti di riqualificazione che potrebbero innescare processi di sviluppo e rigenerazione urbana. In genere gli enti locali non dispongono delle risorse necessarie per l’acquisizione dei beni e delle aree, quindi non hanno convenienza ad apporre vincoli troppo rigidi, ma va rilevato che molto spesso gli esiti degli interventi si fanno incerti quando mancano linee strategiche sul riuso o ci sono obiettivi e progetti discordanti ed idee poco chiare. Sembra quasi scontato sottolineare che l’appetibilità di immobili o di aree dismesse di proprietà pubblica dipenda dalle attività che vi si potranno svolgere. Se alla definizione di queste ultime non si può giungere prima delle procedure di alienazione per l’assenza di un accordo tra lo Stato proprietario ed il comune gestore del territorio, o vi si giunge in tempi tanto lunghi da essere inaccettabili per il mercato, non vi è dubbio che le possibilità di successo dei processi di dismissione si riducano sensibilmente.
Nel caso milanese la questione degli ex scali ferroviari è regolata dall’Accordo di Programma tra Ferrovie dello Stato s.p.a. e Comune di Milano stipulato nel 2007, con successiva adesione nel 2008 di Regione Lombardia.  Il nuovo PGT sposa la linea del binomio “case+verde”: il Comune prevede di trasformare 750 mila metri quadrati in verde e spazi pubblici. Il rimanente, circa 450 mila metri quadrati, sarà venduto a privati che potranno costruire solo garantendo in cambio una quota di servizi e alloggi in housing sociale.
Le vicende del riutilizzo degli scali nel corso degli ultimi anni è rivelata una “spia” delle difficoltà del quadro normativo italiano a conciliare obiettivi statali e potenzialità locali. Un’occasione persa, almeno per ora. La crisi economica ha accentuato tendenze già in atto. Il libro ha perciò il merito, tra gli altri, di  porre l’attenzione su questo importante patrimonio di aree, su cui si gioca una importante partita per il futuro della città.
Oltre che sugli aspetti quantitativi (volumetrie), il volume si interroga sull’opportunità di un approccio sistemico ai sette scali, sulle possibili strategie di intervento (funzioni insediabili e opportunità localizzative) e sulla “forma della città”,  registrando un affanno della politica nel delineare una regia pubblica  e una vision condivisa e di lungo periodo.
Partendo dall’assunto che per capire una città sono necessari molti punti di vista, compreso quello del cinema, a conclusione del corposo studio sono raccolte le conversazioni con personalità extradisciplinari di assoluto rilievo, come Ermanno Olmi.
Tre diverse forme di narrazione - saggi, progetti, interviste - tenute insieme dal medesimo intento: offrire materiali di riflessone per promuovere un ampio e partecipato dibattito sul futuro di Milano.