Recensioni / Al cineam con filosofia. La lezione di Gilles Deleuze

Quando i discorsi sul cinema sono sempre più ridotti a pareri sui film, e il valore di questi misurato in stelline e pomodori nel web, ha senso tornare a leggere le pagine che del primo ragionano e dei secondi offrono chiavi interpretative.
È quello che fa Daniela Angelucci nel libro Deleuze e i concetti del cinema, catalogato nella collana Quodlibet Studio dell’omonimo editore marchigiano. Studiosa di estetica e teoria del cinema, l’autrice riscopre i due volumi che, all’inizio degli anni Ottanta, Gilles Deleuze dedicò al rapporto tra cinema e filosofia: L’immagine-movimento (1983) e L’immagine-tempo (1985).
Allontanandosi da una prospettiva solamente critica, Deleuze sviluppò i «concetti del cinema stesso», alcuni dei quali avviano i capitoli del saggio. In ordine: movimento, tempo, virtuale, modernità, falso, vita, ripetizione, simulacro, sadismo, caso. Non si tratta di teorie cinematografiche, di concetti applicati alla comprensione del cinema. Piuttosto, al centro del lavoro del filosofo francese, si collocano i «concetti scaturiti dal cinema» e costruiti attraverso la filosofia. Lo scambio, insomma, si muta in collaborazione, sostituendo due pratiche consolidate: la spiegazione dei film con gli strumenti della filosofia e, all’opposto, la ricerca di filosofia nelle espressioni filmiche.
Prendendo le mosse dai testi citati, la Angelucci costruisce un percorso che si offre come «introduzione al pensiero sul cinema di Deleuze [e] si concede anche di rimarcarne soprattutto alcuni aspetti, tentando di evitare […] una doppia ignominia: quella dell’eccessiva erudizione, che rende complicata e noiosa la lettura, ma anche quella dell’esagerata familiarità, che tende a riprodurre lo stile dell’autore». Questi rischi – che troppo spesso sono ignorati dagli accademici nostrani – sono ridotti, nel volumetto, grazie a una scrittura ‘da manuale’, a un apparato di note esplicative e bibliografiche ridotto al minimo, agli indici essenziali.
Inutile aggiungere che l’operazione non è sufficiente a renderlo una lettura leggera. I testi di cui tratta sono solo il culmine di un’operazione che Deleuze aveva avviato già nel ’69 in Differenza e Ripetizione sottolineando la crisi del discorso filosofico. Leggere Deleuze – in questo libro – vuol dire ripensare a filosofi come Nietzsche, Bergson, Pierce, ma anche a Freud e Lacan o a critici cinematografici come André Bazin.
Ma perché la teoria non prescinda dai testi che si propone di interpretare, Daniela Angelucci offre la lettura di alcuni film del cinema moderno, interrogandoli a partire dalle categorie deleuziane.