Recensioni / L'Etiopia che fu (fascista) e che sarà (cinese)

Un viaggio dal porto di Gibuti City fino ad Addis Abeba, dal mare a quota 2.350, attraverso il deserto arroventato, distese di polvere e sassi senza alcuna forma di vita, neppure gli insetti, laghi vulcanici e svariati gruppi etnici, sulle labili tracce di una ferrovia iniziata a fine Ottocento dai primi colonizzatori, mai del tutto completata e ora in disuso nonostante i tentativi dell’Unione europea. Ma anche un viaggio nel passato dell’Africa Orientale Italiana, quello compiuto nel febbraio 2012 dallo scrittore e traduttore Vincenzo Latronico e dal fotografo e filmaker Armin Linke e raccontato nel composito volume Narciso nelle colonie. Un altro viaggio in Etiopia (Quodlibet Humboldt, pp. 168, euro 18), con un dossier (quasi agiografico) dello storico Angelo Del Boca sui suoi sette-otto incontri con Hailé Selassié (alla fine narcotizzato e soffocato da Menghistu in persona), un album fotografico e una breve cronologia dedicati al Negus Neghesti (Re dei Re), spunti rastafariani dell’artista Simone Bertuzzi, un dizionarietto delle parole italiane in lingua amarica, legate soprattutto a motori, strumenti, cibo, giochi e abbigliamento, a cura di Graziano Savà, informazioni pratiche su alberghi, ristoranti, musei, negozi ecc., e tre utili mappe.

Memorie familiari
Latronico, giovane romanziere (1984) molto apprezzato dalla critica per La cospirazione delle colombe, ha un legame particolare con l’Etiopia: la madre ci è nata, il nonno ci ha lavorato come avvocato, la nonna Marina, autrice anche di un romanzo autobiografico inedito (scritto in francese) dal titolo Ethiopia Hoy!, ci ha vissuto dai 3 ai 50 anni, il bisnonno ci è stato spedito da Mussolini come procuratore del re e non andava certo per il sottile (se in un villaggio aveva luogo un reato e i testimoni non collaboravano con l’amministrazione fascista, allora bisogna punire in blocco l’intera comunità). Eppure, nonostante i tanti racconti di una famiglia multietnica e decisamente anticomunista per sofferenze dirette, si porta dietro i pregiudizi e i sensi di colpa tipici del politicamente corretto. Tanto che non manca mai, appena possibile, di ricordare le malefatte dell’occupazione italiana, incluso l’impiego dei gas e le ritorsioni per il fallito attentato al viceré Rodolfo Graziani, ed esaltare il grand papa Hailé Selassié. Peccato, però, che sia regolarmente deluso dalla popolazione etiope, con gli anziani fieri e felici di poter parlare italiano e di ricordare con nostalgia il nostro operato, definito una «colonizzazione degli ingegneri». Fino al colpo di grazia: un vecchietto che gli canta, due volte, parola per parola, «Faccetta nera». Piuttosto, l’odio viene riservato al Derg, al crudele Menghistu, il negus rosso, e all’ideologia comunista che pretendeva di sradicare ogni tradizione. Ben più interessanti quindi le parti del libro dedicate al contrabbando e alla masticazione delle foglie di khat, capace di regalare una sorta di euforia energica agli uomini seduti all’ombra, mentre le donne, infibulate per il 97%, lavorano (e non a caso il commercio di questa droga naturale è nelle mani della ricchissima Suhura Ismail, proprietaria di una linea aerea privata con velivoli dell’era sovietica); alle vestigia lasciate nella ventosa Harar, dove oggi l’aspettati va di vita, 43 anni, è persino più bassa della media nazionale, da Arthur Rimbaud, che ne giudicava gli abitanti come «meno imbecilli e meno canaglie degli altri negri»; alla fauna (babbuini, iene, antilopi, gazzelle, cammelli, elefanti, struzzi, nibbi ecc.); al cibo locale, dal kifto (carne cruda) all’injera (sorta di focaccia spugnosa), dal berberé (piccante misto di spezie) al tegabino (misto di verdure piccanti servite, appunto, in un tegamino), dal wat (piatto a base di carne) al quasi inevitabile kossò (bevanda a base di benzina presa come rimedio contro i parassiti dello stomaco).

Rischio giallo
Ma soprattutto fanno pensare le riflessioni riservate all’invasione delle imprese cinesi, sparse ovunque in tutto il Corno d’Africa, con l’industria di Pechino impegnata a fagocitare il mercato locale utilizzando braccianti in gran parte criminali che scontano in questo modo, con i lavori forzati all’estero, la loro pena, mentre un giornale di Addis Abeba, proprio durante il soggiorno di Latronico e Linke, si prendeva la briga di dedicare un’intera pagina di lamentazioni alla morte di «uno dei migliori esseri umani che siano mai vissuti», cioè il tiranno nordcoreano Kim Jong-il. La nuova, vera, minaccia per l’Africa Orientale, insomma, arriva da est. E invece di preoccuparsi del passato sarebbe il caso di scrutare il futuro, un futuro, per usare le parole di Latronico, di «grattacieli cinesi ottusi e smaglianti, spesso mezzo inincompiuti, sotto ai quali si stendono sconfinate baraccopoli».