Nelle arti le parole: opera, libretto, aria, partitura, allegro, vivace,
sonata, bel canto, olio, tempera, graffiti. In cucina: ravioli,
maccheroni, fusilli, vermicelli, gnocchi, pummarola, mozzarella,
lasagna, pizza, ossobuco, cappuccino, al dente, al pesto, alla
carbonara, all'arrabbiata, ragù, minestrone, croccante, panettone,
cassata. In letteratura: Dante, Petrarca, Machiavelli, Ariosto, Tasso,
Metastasio, Alfieri, Manzoni, Leopardi, Collodi, De Amicis, D'Annunzio,
Marinetti, Papini, Ungaretti, Bontempelli, Eco. Nel teatro: Goldoni,
Bellini, Rossini, Donizetti, Verdi, Eleonora Duse, Pirandello,
Petrolini, De Filippo, Fo. Nel cinema: neorealismo, Rossellini,
Antonioni, Zurlini, Pasolini, Bertolucci, spaghetti western. In
politica: Mazzini, Garibaldi, Gramsci, Bobbio, gattopardismo,
berlusconismo. In architettura: Coppedè, Piacentini. Nella vita: mamma
mia, porca miseria, dolce far niente, dolce vita. Più recentemente,
stilisti e filosofi: da Versace a Vattimo, da Agamben a Dolce & Gabbana.
Ecco, più o meno ci siamo. Con aggiustamenti fonetici e qualche
slittamento semantico, in America latina (forse non solo) l'Italia, gli
italiani, gli italianismi sono questo. L'Argentina (con circa metà della
popolazione di origine italiana) e il Brasile (San Paolo è la città del
mondo abitata dal maggior numero di italiani) sono i paesi di massimo
afflusso migratorio, presenza e influenza della nostra cultura, dove la
figura dell'italiano oscilla fra due estremi: alta cultura e incultura,
raffinatezza e cattivo gusto, lo stereotipo comico-denigratorio e quello
prestigioso della modernizzazione e della laboriosità. Presenza e
influenza che scendono negli altri paesi fino ad arrivare al Messico,
l'antica Nuova Spagna, dove gli italiani sono solo individui e solo
stranieri come tanti altri, non hanno lasciato tracce riconoscibili e
durevoli.
Tanto per dare un'idea colorita del fenomeno, ricavo questi dati
elementari da “Vida nueva. La lingua e la cultura italiana in America
Latina" (Quodlibet Studio, 181 pp., 18 euro), libro di autori vari,
curato e introdotto dallo studioso argentino Alejandro Patat, da molti
anni attivo in Italia.
Leggo il volume con una certa partecipazione emotiva, perché dagli anni
Quaranta alla fine degli anni Cinquanta emigrarono a Buenos Aires
quattro miei cugini molto più anziani di me, una cugina e una cara zia:
di questi cugini, il più giovane, Valentino, nato nel 1926, molto falce
e martello, è stato manovale e poi piastrellista; il più anziano,
Romolo, nato nel 1914, piuttosto fascista, ha lavorato come reporter
sportivo.
A parte gli echi prolungati di questa migrazione, che mi hanno reso lo
spagnolo abbastanza familiare, ho avuto un'esperienza diretta
dell'America latina molto tardi, dal 1989 a pochi anni fa, tenendo
conferenze e lezioni in Messico, Brasile, Argentina, Perù. E' inutile
che parli di queste esperienze, poco rilevanti socialmente e poco più
che turistiche. Ma certo la cosa a cui mi risultò impossibile non
pensare era proprio l'idea, il sogno, l'utopia di quella “vida nueva"
che dà il titolo al libro di Patat. Una vita nuova in territori
maestosamente, a volte paurosamente vasti e vuoti, di cui appropriarsi
con avidità e in cui perdersi, divorati dalle malinconie e dalle nostalgie.
Del resto, l'intera America, sud o nord, è stata questo per tutti gli
emigranti europei, che fossero intellettuali, artisti, fuoriusciti
politici, o contadini, operai, artigiani, in cerca di un lavoro e di una
libertà che le loro patrie non garantivano.
Come si sa, finirono in America latina sia anarchici, socialisti e
comunisti, che nazisti e fascisti. E questa esportazione nel nuovo mondo
dei più violenti, sanguinosi conflitti politici europei non deve aver
favorito in quei paesi lontani la formazione di una cultura e di classi
dirigenti equilibrate e lungimiranti. L'instabilità economica, sociale e
politica ha tormentato l'America latina, offrendo di continuo un ruolo
da protagonista agli avventurieri, ai militari golpisti, a dittature
populiste e parafasciste feroci, a guerriglie spietate e a molte utopie
più visionarie che rivoluzionarie.
ll tema del libro curato da Patat è prevalentemente sociolinguistico e
culturale. La pervasività del lessico italiano segnala una preminenza
del commercio, della cultura gastronomica e delle arti, soprattutto il
melodramma. Nei due capitoli più estesi e dettagliati del volume, quello
sull'Argentina (di Alejandro Patat e Angela Di Tullio) e quello sul
Brasile (di Betȃnia Amoroso e Mariarosaria Fabris) l'"epopea migratoria"
viene descritta nelle sue varie fasi. Si è passati dalle difficoltà di
inserimento sociale alla profondità e naturalezza dell'assimilazione.
“Gli italiani si sono mescolati e integrati così profondamente nel tessuto sociale,
che a nessuno verrebbe in mente di considerare Astor Piazzolla o Ernesto
Sábato artisti italiani”.
Ma mentre i padri emigranti hanno spesso continuato a vivere in
Argentina come se fossero ancora in Italia (magari leggendo Dante e
Verga), i figli hanno polemicamente rovesciato la loro mentalità, hanno
voluto sbarazzarsi di ogni legame con l'identità italiana (per lo più
regionale, non nazionale) fino a vergognarsi dei padri. Ciò che emerge
da un noto romanzo di Juan José Saer è che al “romanticismo" dei padri
italiani emigrati si è contrapposto il “pragmatismo” dei figli
argentinizzati, che almeno in un primo momento tendono a rinnegare le
loro origini.
In Argentina l'interesse per la cultura italiana è forte sia negli
intellettuali di origine italiana che in quelli di origine spagnola
(traduzioni di filosofi e poeti di oggi, riviste come “Fenix” e “Hablar
de poesia”). In Brasile, uno stimato critico letterario mi sorprese
affermando che la letteratura italiana del Novecento per loro brasiliani
è la più importante fra quelle europee. Dato che questo apprezzamento
non risponde esattamente alla realtà, deve trattarsi di una vera
affinità elettiva.