C'è una singolare analogia tra le immagini fotografiche di Jeff Wall e
il realismo magico di Julio Cortazar. In entrambi i casi - la fotografia
dell'artista canadese e i racconti dello scrittore franco argentino - si
gioca costantemente sul crinale di una realtà verosimile e però in grado
di mostrare, secondo un terzo occhio, in maniera dilatata, la dimensione
fantastica, a volte paradossale della vita. Potrebbe essere proprio
questa tensione la chiave espressiva per interpretare la ricerca
fotografica di Wall. Una tensione dello sguardo che va ben oltre il
divario tra fotografia a pellicola e fotografia digitale, e ridiscute le
possibilità dell'occhio che ha attraversato il Novecento aprendosi ad
una diversa e nuova consapevolezza: guardare di più, guardare meglio,
attardarsi sull'immagine fotografica o sulla realtà stessa per fare
esplodere dettagli apparentemente insignificanti, e ridiscutere una
“politica della rappresentazione”.
LIGHT BHX
Quando di fatto gli smartphone di ultima generazione producono e
condividono nei social network quotidianamente milioni di immagini
digitali. Wall, generazione 1946, lavora, tra analogico e digitale,
producendo un'importante riflessione sulla specificità del medium
fotografico. Le sue fotografie vengono esposte spesso negli spazi
museali in trasparenza, su pannelli retroilluminati di grande formato, i
famosi light box, come accade per le fotografie pubblicitarie in
metropolitana, in grado quindi di creare centri di attenzione potente e
luminosa. Lo spettatore ha la sensazione di trovarsi di fronte a uno
specchio, le proporzioni dei soggetti fotografati hanno dimensione
umana, e però prima di raccogliere la tensione che turba, devono
guardare a lungo. Finalmente la prima grande retrospettiva italiana del
fotografo di Vancouver arriva in Italia, al PAC Padiglione d'Arte
Contemporanea di Milano, dove è possibile vedere fino al 9 giugno Actuallty, a cura di Francesco Bonami e prodotta dal Comune di Milano e
CIVITA. Le 42 opere in mostra tracciano il percorso creativo di uno fra
gli artisti contemporanei più innovativi degli ultimi trenta anni,
riconosciuto da mostre personali tenute nei principali musei del mondo,
dal MOMA di New York alla Tate Modern di Londra. Ed un suo libro,
tradotto in italiano da Quodlibet, Gestus. Scritti sull'arte e la
fotografia, ora ne racconta la filosofia e le prospettive.
A partire dalla fine degli anni Settanta la sua ricerca da una parte
tesse esplicitamente un dialogo aperto con il cinema, dall'altra
recupera tutte le relazioni possibili con la pittura, aprendo la strada
alla cosiddetta “Scuola di Vancouver". Le fotografie vengono realizzate
durante mesi di lavoro in studio, proprio come un set cinematografico o
un grande quadro storico ottocentesco. Wall ricostruisce la scena
artificialmente, con costumi, trucchi, scenografie, maquillage
professionali e effetti speciali. Le figure vengono fotografate
singolarmente o in piccoli gruppi. L'immagine finale viene assemblata
con un montaggio digitale e un ulteriore perfezionamento con il foto
ritocco, restituendo un solo sguardo fotografico dove nulla è lasciato
al caso. I dettagli vengono montati secondo un procedimento analitico
meticoloso, alla maniera dei grandi fotografi pittorialisti di fine
Ottocento. Il limite dei frammenti messi l'uno accanto all'altro trova
sintesi nell'inquadratura pittorica, nella dimensione delle sue immagini
stampate in rapporto uno a uno, spesso nell'offerta al consumo dello
sguardo in grande formato, appunto come light box. Sono necessari
tantissimi scatti, dettagli dei dettagli, citazioni di altre immagini,
combinazioni tra storia dell'arte e romanzo, un continuo spostamento
fotografico, le fotografie dentro la fotografia vengono ricombinate
secondo un gioco da bricoleur, l'immagine si fa evocazione potente di un
istante mettendo in scacco il sentire ordinario. Guardando più
intensamente, le opere di Wall esplorano i campi più diversi, la storia,
l'arte, la politica, il razzismo, la povertà, le tensioni sociali. La
sua è una sorta di operazione doppia che da un lato rivitalizza il
passato dell'arte riportandolo all'oggi, dall'altra si serve di immagini
storiche per spingere a ragionare su quel presente, e quei dettagli
inquietanti, che tendiamo abitualmente, e fotograficamente, a rimuovere.