Geoff Dyer non è un fotografo e non possiede una macchina fotografica.
Jeff Wall è uno tra i più importanti fotografi contemporanei. Due
narrazioni sull'arte della fotografia molto diverse tra loro, quasi
contrapposte.
La nascita dell'arte concettuale e le relazioni fra temi oggetti,
istanti che ritornano nel corso degli anni un modo per comprendere un
mondo ancora da esplorare, alla luce delle trasformazioni contemporanee
in cui la fotografia da forma alla realtà.
I libri sono molto diversi tra di loro L'infinito Istante è una fluida
raccolta di storie, che sono realmente o solo potenzialmente dentro
fotografie famose, o sconosciute ma che fermano la stessa immagine. Dyer
era giá partito da fotografie di Jazzisti famosi per descrivere la loro
vita e la loro musica nel suo Natura Morta con custodia di Sax-Storie
di Jazz libro che apre un dialogo serrato tra discipline diverse.
Ho la sensazione che il non fare fotografie sia una condizione per
scrivere di esse...Dorothea Lange ha detto che la macchina fotografica é
uno strumento che insegna alle persone come vedere senza la macchina.
Posso non essere un fotografo ma ora vedo il genere di fotografie che
avrei potuto fare se lo fossi stato.
Dyer racconta la fotografia dall'inizio, da quando il confronto con la
pittura ne misura le potenzialitá, le caratteristiche espressive che
cercano di raccontare, la cittá i suoi abitanti gli attimi che si
ripetono. Wall invece racconta la fotografia dall'interno, cerca di
definire i confini di quest'arte racconta il suo modo di comporre le
opere, un metodo che non è affatto debitore del reportage, del gusto
dell'istantanea, del gioco di chi ama l'attimo e lo eterna. Lui l'attimo
lo inventa. Wall infatti, come un pittore, sa esattamente quello che
vuol rappresentare, lo crea con meticolosità nelle scene da lui create.
Non cerca storie e nemmeno le vuole raccontare, crediamo di vedere una
cosa e invece stiamo guardandone un'altra. La migliore risposta
possibile a Baudelaire, che credeva di poter condannare i fotografi in
quanto tecnici che non inventano niente. Qui, dentro la finzione
radicale, misuriamo quanta realtá ci sta nel come se.
Dyer attraverso la descrizione dei soggetti fotografati, ripercorre
l'intera storia della fotografia, a volte le immagini si ripetono,
sembrano quasi essere le stesse ma poi l'autore ci spiega le differenze,
differenze che a volte dipendono dalla storia personale del fotografo
delle altre degli strumenti usati, altre ancora dalla storia di un
preciso momento storico. Sono proprio tutte queste informazioni diverse a
mettere assieme un mosaico che segna la storia della disciplina.
Per Wall scrivere è una necessità per spiegare e capire non solo il
lavoro del fotografo ma anche il rapporto che esiste con altre
discipline, la fotografia come strumento per l'arte concettuale. In un
certo senso come la fotografia può reinventarsi come strumento di
investigazione di un' idea. L'utilizzo di metodi caratteristici di una
disciplina per caratterizzare la stessa, non per sovvertirla, bensì per
rafforzarla con maggiore decisione nella sua area di competenza.
Il saggio più bello è quello su Dan Graham il suo modo di reinventare la
fotografia come strumento di ricerca, capace di descrivere una realtà
oggettiva che si fa rappresentazione di una struttura sociale.
Stefano Graziani, il curatore del volume, sottolinea come Wall non fa
altro che mettere a nudo gli aspetti patologici della vita
contemporanea, la solitudine, l'ansia, la condizione del paesaggio in
quanto scena dominata dall'azione dell'uomo, e mai inteso come
esplorazione geografica o contemplazione.
Dyer fa cominciare tutto da Walker Evans che è stato interprete ed
epigono dello stile documentario per tutta una generazione di fotografi
si è presentato il problema di come continuare a lavorare senza ripetere
ciò che egli aveva reso non superabile.
Lo stile per Dyer coincide con il desiderio di raccontare la realtà,
attimi che si ripetono ma che vengono cercati da tanti fotografi, che si
trasformano in cacciatori di quell'infinito istante che oggi è forse
diventato un ossessione per tutti noi, sempre presi a registrare attimi
da condividere sui social network.
Forse è soltanto una stranezza autoreferenziale dovuta all'approccio e
alla struttura incerta di questo libro ma, in misura sempre maggiore, la
storia della fotografia sembra essere fatta di fotografi che hanno dato
le proprie versioni personalizzate di un repertorio di scene, soggetti e
motivi. Questo repertorio si espande e si evolve costantemente, invece
di essere fisso e statico, ma un numero sorprendente degli elementi che
lo costituiscono fu stabilito fin dalle origini da Henry Fox Talbot
negli anni Quarante dell' Ottocento.
Nell'esplorare le ragioni della sua attrazione per la fotografia Roland
Barthes distingue tra studium e punctum, dove il primo è inteso come un
campo omogeneo di relazioni, di motivi di interesse vago e allargato,
mentre il secondo, quando c'è, è un particolare inquietante e pungente,
la striatura imprevista che attraversa il campo. (Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia. Torino, Einaudi, 1980.)
Dyer descrive, il campo delle relazioni Wall produce la striatura
imprevista che attraversa il campo, la linea di equilibrio che rende
l'immagine rappresentazione di un momento sospeso tra realtà e finzione.
Per constatarlo basta visitare la mostra Actuality al PAC di Milano e immergersi completamente nel lavoro di questo fortografo.