Gioco di parole tra natura morta e ancora in vita: l’espressione inglese
Still Life – a suo tempo adoperata persino dai gagliardi Rolling
Stones! – ben si adatta al carattere dell’ultimo saggio di Daniel
Heller-Roazen; intitolato “Tatto interno” e pubblicato, come altri
titoli dell’autore, dal raffinato editore Quodlibet.
Il libro ha suscitato l’ammirazione, tra gli altri, di Marco Mazzeo sul
Manifesto del 19 maggio e di Valerio Magrelli su Repubblica del 1
giugno. Di non facile approccio, e denso di numerose citazioni colte: il
saggio parla, pure attraverso una capillare ricostruzione storica,
della percezione che esseri umani e animali hanno di sé.
Quanto mai attuale come idea di partenza: la ricerca dello studioso,
certamente per una scelta cosciente, appare rivolta alle epoche
precedenti. E se al termine della lettura si ottiene un quadro esaustivo
di come nel corso dei millenni l’uomo si è relazionato col proprio
corpo, lo stesso non si può dire se si desidera ricavarne un’indicazione
per il tempo presente.
Se ne trae piuttosto la morale che per molti intellettuali – basti
pensare ai recenti “Antropologia dell’uomo globale” di Christoph Wulf e
“Rivolte del pensiero” di Mario Galzigna – è nel passato remoto
dell’Occidente che sono radicate inedite forme di sensibilità. Forme in
grado di soddisfare il desiderio di conoscenza e di costituire una guida
per l’azione, ma altresí di aprire il cammino all’esplorazione
dell’irrazionale.