Recensioni / Istantanee Einaudi dalla redazione

Alla ormai ricca letteratura sulla più prestigiosa fra le case editrici italiane si aggiunge un contributo originale, Una stanza all’Einaudi (a cura di Alberto Saibene, Quodlibet, pp. 153, € 14,50), firmato da due ex redattori, Luca Baranelli e Francesco Ciafaloni, che all’Einaudi lavorarono fra gli anni sessanta-settanta e il 1985, l’anno in cui al fallimento economico seguì una radicale mutazione sia in termini economico-gestionali sia nella politica editoriale. Il libro comprende la lunga conversazione a tre voci che dà il titolo e sei testi di natura memorialistica equamente ripartiti, in cui spiccano la memoria di Baranelli circa la mancata pubblicazione del pionieristico Goffredo Fofi, L’immigrazione meridionale a Torino (poi edito da Feltrinelli nel ’64, ora nel catalogo di Aragno) – il libro che dopo una controversia lacerante comportò il licenziamento di Raniero Panzieri e Renato Solmi –, e una nitida analisi di Ciafaloni, «Einaudi in crisi», scritta in presa diretta al tempo del tracollo finanziario: in appendice si aggiunge un inserto fotografico dove alle foto d’autore (per esempio i ritratti di Calvino, Giulio Bollati, Franco Venturi e Carlo Dionisotti a firma di Giovanna Borgese) seguono le istantanee che ritraggono protagonisti non meno essenziali alla grande stagione einaudiana quali Cesare Cases, lo storico dell’arte Paolo Fossati, l’editore gramsciano Sergio Caprioglio, il francesista Guido Neri, il caporedattore Daniele Ponchiroli, gran filologo tra gli altri prediletto da Contini, e Roberto Cerati, attuale presidente ememoria storica della casa editrice.
Una stanza alla Einaudi (titolo anfibologico, che allude tanto a un ufficio redazionale quanto a un settore specifico della produzione editoriale) si riferisce a un’esperienza apparentemente laterale rispetto alle storiche collane di letteratura e a quelle più acclamate di saggistica (i «Saggi» in arancione, ovviamente, e «Nuovo Politecnico») ma allora non meno centrale per il lettore einaudiano che, specie fra gli anni sessanta e settanta, era portatore di spiccati interessi politici. Esemplare quanto a ciò, e condotta nel segno lasciato dal magistero di Panzieri, è la «Serie politica» color viola promossa da Baranelli, la quale apre nel ’68 con La contestazione cinese di Edoarda Masi e prosegue fino all’81 acquisendo per esempio le Opere scelte di Frantz Fanon a cura di Giovanni Pirelli, testi di Huberman, Sweezy, Chomsky, Malcolm X e alcuni eccellenti contributi di sociologia militante come Classe operaia e partito comunista alla Fiat (’71) di Liliana Lanzardo e Gli anni duri alla Fiat (’74) di Emilio Pugno e Sergio Garavini. Oggi rileva Baranelli: «C’era una domanda per qualche anno famelica, del pubblico giovanile, di molti che avevano partecipato alle lotte fra il ’67 e il ’69, e che nei libri riponevano aspettative (…) è indubbio che esisteva una élite di giovani militanti i quali volevano informarsi, e non cercavano soltanto slogan, propaganda o opuscoli effimeri».
Più trasversale, e talora da cross country, l’apporto di Ciafaloni, un ingegnere formatosi all’Eni, passato nella casa editrice di Paolo Boringhieri e approdato alla Einaudi per divenire esperto, dice oggi con ironia retrospettiva, di «scienze umane e disumane». È tutt’altro che una boutade, questa, anzi è l’esito di un contenzioso culturale, politico e persino pedagogico di cui l’attuale editoria sembra avere smarrito la memoria.
È anche il segno di una concezione umanistica, nel senso esatto e ricco del termine, di cui dà testimonianza la vicenda successiva di entrambi gli autori: la formazione storico-giuridica (una laurea su Carlo Cattaneo) e la direzione della «Serie politica» da Einaudi non hanno impedito a Luca Baranelli di divenire uno straordinario filologo, firmatario di edizioni di Cases, Bilenchi, Colorni, Timpanaro, Renato Solmi e su tutti di Calvino cui fra l’altro ha dedicato l’esemplare Bibliografia di Italo Calvino (Edizioni della Normale, 2007); allo stesso modo, si debbono a Francesco Ciafaloni alcuni tra i saggi più acuti e limpidamente scritti fra quanti trattino gli assetti sociopolitici e culturali del nostro tempo, da Kant e i pastori (1991) e I diritti degli altri. Gli stranieri e noi (minimum fax ’98) al recente Destino della classe operaia (Edizioni dell’Asino 2011). Il tono di Una stanza all’Einaudi non è proprio quello della nostalgia ma, semmai, di una riconoscenza vigilata dalla critica.
Scrive Ciafaloni nel Ricordo di Calvino che «la sua indagine reale riguardava la società, gli uomini e il loro universo fantastico». Potrebbe essere l’emblema elettivo dello «Struzzo», o di quello che fu.