Recensioni / Sopralluoghi in Grecia alla ricerca di oracoli

Nostalgia della Grecia. Ovvero – etimologicamente: grecamente – dolore di chi torna o vorrebbe ritornare. All’insegna di un simile sentimento si è compiuto il viaggio di Dino Baldi, filologo e grecista dalla grossa vena di scrittore e narratore, nella terra che non si potrà mai evitare di considerare la culla, il luogo della nascita, il teatro dell’origine della nostra cultura, civiltà e identità. Nemmeno oggi «che si sta discutendo se cacciare la Grecia dall’Europa per non farsi trascinare nella rovina finanziaria», nota Baldi, l’Europa può impedirsi di guardare all’Ellade come a uno specchio deformante dove consolarsi nei momenti in cui teme di perdere se stessa». Perduta invece è la Grecia? Non proprio. È cambiata, è diversa, è diventata un’altra. Perché tutto scorre, nulla si distrugge, tutto si trasforma, come l’autore ricorda nell’esergo al suo volume citando né Eraclito né Lamarck bensì le Metamorfosi di Ovidio: «Nulla muore nell’infinito mondo, credi a me, ma cambia faccia…». Il volume tuttavia, che Baldi avrebbe voluto intitolare con la formula certo nostalgica ma commercialmente poco accattivante di «Questa non è la Grecia» -, qualificato con la dicitura “Sopralluoghi in Grecia” e redatto come un diario di viaggio, registra, ripercorre e favorisce il compimento di un magico passaggio. Realizza, attraverso la rivisitazione di Oracoli, santuari e altri prodigi – cui alla fine è stato significativamente dedicato il titolo del libro, Quodlibet 200 pagg, 19 € - un salto, una trasformazione, una salvifica e liberatoria emancipazione dal culto di ciò che non c’è più.
Partito nella tarda primavera del 2012 in compagnia di un’artista contemporanea, Marina Ballo Charmet, l’autrice dei bellissimi scatti che illustrano il volume, e di un geografo antico, Pausania, di cui tiene in valigia la Descrizione della Grecia in un’impalpabile versione digitale, Baldi iniziò il suo percorso deciso a spogliarsi dell’atteggiamento di tutti coloro che inseguirono la grecità come un mito - Winckelmann, Hölderlin, Nietzsche, Goethe, che in Grecia guarda caso non misero mai piede – o di quelli che vi esperirono la cocente delusione di altrettanto ardenti aspettative: Virgilio, che appena sbarcato al Pireo non vedeva l’ora di ripartire, o Heidegger, che tra i pullman dei turisti ai piedi del Partenone non riuscì a scorgere neppure le tracce degli dei fuggiti… La nostalgia di Baldi – che per Atene non passa neanche: «non vi è nulla di importante», «Atene è un’invenzione romana e dei libri di scuola» - deriva piuttosto da una volontaria «esperienza diretta della fine delle cose», vissuta con intenzione «per curarsi dalla convinzione che in Grecia ci sia tutta la bellezza e la verità». Una bellezza, tuttavia, di commovente, straziante suggestione, si manifesta come un “altro prodigio” a chi ha gli occhi per scorgerla in quelle lande che furono popolate di dei e di eroi, abitate dalle ninfe e dalle muse, celebrate da poeti, sacerdoti e indovini. Proprio negli angoli più desolati, tra i ruderi meno monumentali, tra sassi mutili e degradati, rimangiati dalla natura e “disdegnati dai turisti come rovine abusive”, si rivelano spiriti giganteschi. Nel teatro ellenistico di Corinto ad esempio che, all’incrocio di due mari e di due terre, «è la chiave di volta di tutta la Grecia»; o sulla fonte di Glauce, dove la figlia di Creonte si tuffò per spegnere l’incendio della veste donatale da Medea. Sulla piana di Olimpia, distesa sotto i piedi indifferenti di pastori e greggi al pascolo dove «non saprei dire quello che vi ho riconosciuto, ma ogni volta che ci vado ci sto bene». Nell’antica officina di Fidia, dentro cui, implacabili, hanno fatto il nido i cristiani, consumandola piano come parassiti. O ai piedi dell’Elicona e del Citerone, i due monti fratelli che furono casa per le Muse leggiadre e per le terribili Erinni. Perfino nell’Arcadia celebrata come immagine di bucolica serenità dai poeti romani e in realtà locus horridus e selvaggio in cui pare verosimile che imperversasse Pan il fratellastro di Zeus mezzo uomo e mezzo caprone. La Grecia, mitizzata e vagheggiata da lontano, depredata in epoca di colonialismo archeologico - l’Ottocento in cui le grandi potenze del mondo si contesero le spoglie delle grandi civiltà del passato a colpi di concessioni di scavo” -, custodita in cattività nelle grandi collezioni d’arte e biblioteche europee, ha perso il suo mistero. Ma solo per chi resta aggrappato a “visioni dia catalogo” che non ci mettono più in grado di dire o pensare alcunché. Conserva però il suo profondo segreto agli occhi di chi, osservando il sobborgo industriale di Atene dalla spianata di Eleusi, scorge i segni «del divorzio dell’uomo dal suolo che l’ha generato» ma, sulla bocca della grotta di Ade, dove si perpetuava il sacrificio eterno di Persefone, ritrova il varco tra il sopra e i sotto, tra il dentro e il fuori, tra i divini e i mortali che ancora adesso “lega indissolubilmente la terra all’inferno».