Recensioni / Una vita per le zolle

Gilles Clément accende la miccia della ribellione contro il pedante culto in nome del quale suo padre sterminava le talpe a colpi di fucile. Ed eccolo inventare giardini dove ogni cosa che palpita e striscia e vorrebbe levarsi alta verso il cielo è lasciata libera di dettare le regole del gioco. Quelle che a Wimbledon venivano irrise come volontarie adesso vengono elogiate come intraprendenti vagabonde. Clément vuole accoglierle tutte, prima di tutto imparando il nome di ciascuna, perché ciò che non ha nome non esiste. Non gli interessa l'erba, il verde, ma le erbe in tutta la loro molteplicità di forme e colori. Il gittaione comune cacciato insieme a fiordalisi, nigelle e papaveri dai campi di grano, disprezzate dal coltivatore per il quale la terra non è un immenso giardino ma un supporto di raccolta. Il tasso barbasso, rosette di foglie pelose il primo anno che bisogna fare attenzione a non tagliare per sbaglio così che possa erigersi, al secondo anno di vita, in tutta la sua splendida altezza fiorita. La panace di Mantegazza, scoperta dietro il negozio di pentolame di una signora con lo chignon e la voce arrochita dal tabacco. Incredibile pianta capace di formare e deformare lo spazio con la sua mole, questo Heracleum, l'ombrellifera più grande e più bella mai vista, fu scoperto a fine Ottocento da due botanici francesi sul monte Elbruz, in Abcasia, e da loro dedicato all'amico Paolo Mantegazza. Si è rivelata una conquistatrice capace di acclimatarsi ovunque trovi abbastanza umido e fresco.
Un pericolo, un'invasione? Clément ha orrore della fitoxenofobia: nell'ailanto, il più versatile degli alberi, vede un alleato che prepara il terreno a chi verrà dopo. Come ha spiegato alla lezione tenuta al Collège de France nel dicembre del 2011, il giardiniere di domani non è un giustiziere, conta piuttosto sulle leggi della biologia per comprenderle e assecondarle.