Leggere i libri di Gilles Clément vuol dire seguire la traccia di un
breviario laico che un volume dopo l’altro si va via via componendo.
Vuol dire fare esperienza dello spazio, del tempo, del politico e del
metafisico per via botanica. Leggere di che cos’è un giardino, di chi è
un giardiniere, e scoprire quali e quante quote di complessità sono
ininterrottamente disponibili in ogni fenomeno (botanico animale umano
culturale) al quale siamo disposti a prestare attenzione. Leggere i
libri di Clément vuol dire anche confrontarsi con una ben precisa
propensione etica, quella che si esprime nell’esigenza, rinnovata a ogni
libro, di definire precisamente il contesto che ha scelto come oggetto
della sua riflessione (perché «ciò che ha un nome esiste, ciò che non ha
un nome non esiste»). Per il saggista francese ogni singolo termine che
contribuisce a questa definizione è in sé sensibile e non può mai
essere dato definitivamente per acquisito.
In Giardini, paesaggio e genio naturale (Quodlibet, traduzione di
Giuseppe Lucchesini) – sessanta intensissime pagine che raccolgono una
lezione tenuta da Clément nel 2011 presso il Collège de France – i
vocaboli immediatamente esplorati sono giardino, paesaggio e ambiente.
Prima di tutto si chiarisce che non sono equivalenti. Se infatti il
paesaggio – ciò che si trova alla portata del nostro sguardo – è
determinato dal filtro personale di chi osservandolo lo fa esistere,
l’ambiente è invece un dato oggettivo, o meglio è un insieme di dati
disponibili al calcolo e all’investimento, dunque alla speculazione:
«Mentre la vita non fa che inventare e connettere l’imprevedibile al
prevedibile, i dati ambientali calibrati e stimati consentono ciò che i
dati naturali mai consentirebbero: la mercificazione del vivente».
Il giardino trae dalla nozione di ambiente quelle regole che servono
alla sua organizzazione interna; per il resto il giardino –
etimologicamente e tradizionalmente tanto recinto quanto paradiso, il
luogo in cui si esprime il «meglio» (ciò che è utile e ciò che manifesta
armonia) – crea il paesaggio.
La metamorfosi che si determina nel momento in cui il giardino trascende
se stesso dà luogo, negli ultimi decenni, a quell’indispensabile «choc
culturale» che chiamiamo ecologia. In questa prospettiva l’uomo equivale
agli altri esseri naturali: i rapporti di potere vengono relativizzati,
si riconfigurano le gerarchie. Non c’è un vertice assoluto ma quello
che Clément chiama «Internet biologico». Immersi nella rete, ai
«passeggeri della Terra» tocca la responsabilità di farsi giardinieri.
Ed essere giardiniere, scopriamo leggendo, significa adottare il punto
di vista di chi pensa i pensieri del futuro. La «città riciclabile», per
esempio, oppure – ragionando sulla tecnologia delle sementi – il tempo.
Perché in un seme consiste una sapienza temporale straordinaria; un
seme è vita silente che attende tranquilla il momento in cui, conseguite
le circostanze adatte, manifestare tutta la propria vitalità: è «un
divenire che si annuncia, mentre il passato si cancella; la nostalgia
non ha corso nel giardino».
E ancora, descrivendo il «meticciato planetario» – vale a dire il
fenomeno (costitutivo dell’evoluzione sulla Terra) per il quale elementi
ed energie non fanno altro che mescolarsi naturalmente rinnovando di
continuo le leggi di un biotopo (e dunque, in questo modo,
relativizzandole) – Clément auspica qualcosa che trascende di nuovo lo
specifico botanico. Il suo desiderio è quello di una nuova disponibilità
dell’immaginazione, un’attitudine duttile e plastica a concepire il
mondo come un continuo divenire che reinventa a ogni passo la sua
matrice.
Contro ogni mineralizzazione del progetto – contro la tentazione di un
«paesaggio definitivo» – non c’è altro da fare che lasciare spazio alla
complessità dei processi. Il giardino – e con il giardino il mondo – non
è mai finito: il giardino è l’insieme delle azioni compiute dal
giardiniere per prendersene cura. È un modo per pensare i pensieri del
futuro.