Recensioni / Il patriota calabrese ch sposò una femminista

Nel libro Il patriota e la maestra (Quodlibet, pp. 368, ? 28), l’antropologo Vito Teti ricostruisce la storia d’amore tra un protagonista del Risorgimento nel Sud, Antonio Garcèa (rinchiuso più volte in carcere per la sua lotta contro i Borbone) e Giovanna Bertòla, giovane maestra piemontese, fondatrice di un giornale che potremmo definire femminista, «La voce delle donne». Garcèa, nato in Calabria nel 1820, arrestato insieme ad altri ribelli, riesce a liberarsi e a ritornare in Italia a Torino, dove entra a far parte dell’esercito piemontese. Partecipa alla spedizione dei Mille insieme ad alcuni volontari calabresi. Protagonista della seconda parte del libro è Giovanna Bertola, che aveva incontrato Garcèa in Piemonte, a Mondovì. L’alone di combattente ribelle la fa innamorare: appena diciottenne, lo sposa.Teti descrive gli avvenimenti del 1848, di cui sono protagonisti nobili e borghesi che contrastano l’aristocrazia parassitaria e vogliono un profondo mutamento. Per ottenere la Costituzione, Garcèa aiuta i cospiratori nella lotta che si sviluppa tra Roccella e Reggio, con particolare intensità nel distretto di Gerace, dove il generale Ferdinando Nunziante compie una dura repressione.Teti ci fornisce il quadro di un Mezzogiorno che non fu passivo. Anzi. Il ’48 a Napoli e in Calabria vide un movimento a cui parteciparono i ceti popolari, come dimostrano i morti del 15 maggio 1848 a Napoli. Lo scontro con le truppe borboniche, che prevalgono, è durissimo e si conclude con oltre cento morti e cinquecento feriti. Antonio Garcèa viene catturato e, con altri prigionieri, incatenato e portato a Napoli, da dove saranno tutti tradotti nel carcere di Procida. Il libro nasce da un ricordo dell’infanzia: Vito Teti vide nella casa comunale del suo paese, San Nicola da Crissa, una teca che conteneva un pezzo dell’aorta di Carlo Poerio, protagonista del Risorgimento. La reliquia è stata conservata dai discendenti di Antonio Garcèa, che fu compagno di lotta del Poerio. A proposito della prigionia inflitta a Garcèa e a Carlo Poerio, l’autore ricorda come nacque il pamphlet del liberale inglese Gladstone, che denunziava la violazione dei diritti degli imputati e descriveva il Regno delle Due Sicilie come la negazione di Dio e la sovversione di ogni idea morale e sociale. Il pamphlet provocò la presa di posizione della Gran Bretagna, che intervenne affinché il governo napoletano risolvesse il problema dei prigionieri politici. I Borbone pensarono di chiudere il caso imbarcandoli su una nave americana per trasferirli in Argentina, ma essi riuscirono a far cambiare rotta alla nave e a dirigersi invece in Irlanda, dove vengono liberati. Antonio Garcèa lascia l’Irlanda e raggiunge Torino, dove ottiene di far parte dell’esercito piemontese. Siamo nell’agosto del 1859. Nel 1860 c’è la spedizione dei Mille.In seguito, Garcèa e la moglie si trasferiscono a Parma, dove Giovanna pubblica la sua rivista, che sostiene il diritto delle donne all’istruzione e al voto: una novità assoluta in quegli anni. Il libro affronta anche il problema del brigantaggio e dell’ambiguità delle bande che si richiamano al Papa e ai Borbone. Teti ci illumina su aspetti trascurati dalla storiografia ufficiale e chiarisce le motivazioni del brigantaggio, che storici revisionisti vorrebbero presentare come una ribellione caratterizzata da ideali politici. Come scrive lo storico francese Maurice Aymard nella prefazione, questo è anche «un grande libro di storia, nel senso più forte della parola».] N el libro Il patriota e la maestra (Quodlibet, pp. 368, ? 28), l'antropologo Vito Teti ricostruisce la storia d'amore tra un protagonista del Risorgimento nel Sud, Antonio Garcèa (rinchiuso più volte in carcere per la sua lotta contro i Borbone) e Giovanna Bertòla, giovane maestra piemontese, fondatrice di un giornale che potremmo definire femminista, «La voce delle donne». Garcèa, nato in Calabria nel 1820, arrestato insieme ad altri ribelli, riesce a liberarsi e a ritornare in Italia a Torino, dove entra a far parte dell'esercito piemontese. Partecipa alla spedizione dei Mille insieme ad alcuni volontari calabresi. Protagonista della seconda parte del libro è Giovanna Bertola, che aveva incontrato Garcèa in Piemonte, a Mondovì. L'alone di combattente ribelle la fa innamorare: appena diciottenne, lo sposa.Teti descrive gli avvenimenti del 1848, di cui sono protagonisti nobili e borghesi che contrastano l'aristocrazia parassitaria e vogliono un profondo mutamento. Per ottenere la Costituzione, Garcèa aiuta i cospiratori nella lotta che si sviluppa tra Roccella e Reggio, con particolare intensità nel distretto di Gerace, dove il generale Ferdinando Nunziante compie una dura repressione.Teti ci fornisce il quadro di un Mezzogiorno che non fu passivo. Anzi. Il '48 a Napoli e in Calabria vide un movimento a cui parteciparono i ceti popolari, come dimostrano i morti del 15 maggio 1848 a Napoli. Lo scontro con le truppe borboniche, che prevalgono, è durissimo e si conclude con oltre cento morti e cinquecento feriti. Antonio Garcèa viene catturato e, con altri prigionieri, incatenato e portato a Napoli, da dove saranno tutti tradotti nel carcere di Procida. Il libro nasce da un ricordo dell'infanzia: Vito Teti vide nella casa comunale del suo paese, San Nicola da Crissa, una teca che conteneva un pezzo dell'aorta di Carlo Poerio, protagonista del Risorgimento. La reliquia è stata conservata dai discendenti di Antonio Garcèa, che fu compagno di lotta del Poerio. A proposito della prigionia inflitta a Garcèa e a Carlo Poerio, l'autore ricorda come nacque il pamphlet del liberale inglese Gladstone, che denunziava la violazione dei diritti degli imputati e descriveva il Regno delle Due Sicilie come la negazione di Dio e la sovversione di ogni idea morale e sociale. Il pamphlet provocò la presa di posizione della Gran Bretagna, che intervenne affinché il governo napoletano risolvesse il problema dei prigionieri politici. I Borbone pensarono di chiudere il caso imbarcandoli su una nave americana per trasferirli in Argentina, ma essi riuscirono a far cambiare rotta alla nave e a dirigersi invece in Irlanda, dove vengono liberati. Antonio Garcèa lascia l'Irlanda e raggiunge Torino, dove ottiene di far parte dell'esercito piemontese. Siamo nell'agosto del 1859. Nel 1860 c'è la spedizione dei Mille.In seguito, Garcèa e la moglie si trasferiscono a Parma, dove Giovanna pubblica la sua rivista, che sostiene il diritto delle donne all'istruzione e al voto: una novità assoluta in quegli anni. Il libro affronta anche il problema del brigantaggio e dell'ambiguità delle bande che si richiamano al Papa e ai Borbone. Teti ci illumina su aspetti trascurati dalla storiografia ufficiale e chiarisce le motivazioni del brigantaggio, che storici revisionisti vorrebbero presentare come una ribellione caratterizzata da ideali politici. Come scrive lo storico francese Maurice Aymard nella prefazione, questo è anche «un grande libro di storia, nel senso più forte della parola».