Recensioni / Critica letteraria: il marxismo serve ancora?

Che è rimasto della nobile tradizione marxista, una volta crollata la sua teoria economica, che pretendeva di fondare su dati scientifici l'avvento della società comunista? Forse, come già scriveva il giovane Croce all'inizio del secolo scorso, un canone empirico per gli storici. Oppure un avvenimento alla politica: ché non dimentichi il lato feroce della realtà, il suo rovescio perdurante di ingiustizia e sfruttamento.
Epperò, al di là del nucleo egalitario ed evangelico, privato per altro di ciò che rende forte il cristianesimo -il mistero dello croce e la risposta all'enigma della morte-, il marxismo non
sembra abbia molto da offrire alle inquietudini e alla disperazione dei nostri anni.
Non credo la pensi così un brillante e attrezzatissimo ricercatore, Marco Gatto che, seppure giovanissimo (è nato nel 1983 a Castrovillari), ha già al suo attivo alcuni libri che, proprio su
una riflessione relativa al post-marxismo, ha costruito un percorso di coerenza filosofica che immagino anche esistenziale, scandagliandone le potenzialità ancora vive in un ambito come quello della teoria della letteratura e della critica letteraria.
Gatto ha cominciato con «Fredric Jameson. Neomarxismo, dialettica e teoria della letteratura» (2008), che non è solo la prima monografia italiana sul critico americano, dell'autore di
«Postmodernism» (nonché la prima messa a punto della sua ricezione da noi), ma dimostra una consapevolezza, su una materia di prima mano, di tutte le principali questioni categoriali entro cul il grande pensiero marxista -da Sartre a Lukács, da Adorno a Bloch, da Marcuse a Althusser- s'è dibattuto: a cominciare da quel concetto di totalità (da cui la critica
contemporanea, col suo minimalismo specialistico, è così lontana), nella sua tensione tra struttura e movimento dialettico.
E' del tutto conseguente, perciò, che il discorso confluisse in un libro di ricostruzione storica e, insieme, di bilancio, «Marxismo culturale. Estetica e politica della letteratura nel tardo Occidente» (2012) in cui, sempre con riferimento a Jameson, si rendesse ragione dell'aggressione strutturalista al materialismo storico, ma anche degli sviluppi in area anglosassone, soprattutto in un senso culturalistico (Edward P. Thompson, Raymond Williams, Terry Eagleton): una ricostruzione militante, però, impegnata a difendere il marxismo critico da ogni attacco dell'irrazionalismo decostruzionista.
E' a questo punto che Gatto mette al centro della sua riflessione, diciamo così, l'importanza politica dell'estetica: in un senso che già Luigi Russo definiva trascendentale. E approda al
recente e notevole volume, pubblicato da Mimesis, «L'umanesimo radicale di Edward W. Said». Critica letteraria e responsabilità politica. Da Jameson a Said, insomma: un Said, però, non monumentalizzato come il campione degli studi postcoloniali, cioè quello di «Orientalismo», ma letto come il critico che ha saputo coniugare Gramsci a Auerbach. La responsabilità politica torna a essere, così, innanzi tutto individuale: e decisa vocazione democratica.