Il cartographical turn letterario, inaugurato da Franco
Moretti (Atlante del romanzo europeo, Einaudi, 1997) e
rafforzato dalla riflessione cartografica di Franco Farinelli (La
crisi della ragione cartografica, Einaudi, 2009) trova in
Italia voci incisive. Pensiamo all'Atlante della letteratura
italiana a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà
(Einaudi, 2010-2012), o all'Atlante della letteratura tedesca
a cura di Francesco Fiorentino e Giovanni Sampaolo (Quodlibet,
2009). Infine a Letteratura e geografia. Atlanti, modelli,
letture, a cura dello stesso Francesco Fiorentino e Carla
Solivetti. e Piani sul mando. Le mappe nell'immaginazione
letteraria a cura di Marina Guglielmi e Giulio Iacoli
(entrambi Quodlibet, 2013, non a caso editore privilegiato di Gianni
Celati).
La storia della letteratura è pensabile come «ininterrotta
geografia» - scrivono Fiorentino e Solivetti nell'introduzione a Letteratura
e geografia - che visualizza una «rete di luoghi» eterogenei,
facendo interferire il piano reale con l'immaginario. Lo spazio è,
in effetti, sempre risemantizzato dalle narrazioni. Lo spazio
striato della letteratura mette in crisi la compattezza liscia delle
periodizzazioni e la già precaria nozione di canone, dando spazio a
«costellazioni di lunghi presi in epoche diverse» (Fiorentino).
Disattivando i dispositivi centrati, il modello reticolare fa
esplodere le storie e le letterature nazionali. accentuando le
dinamiche transnazionali, forti nella nostra era globale, ma
ripercorribili già nel passato, se solo cambiamo prospettiva
critica. É questo l'esercizio utile e dilettevole che questo libro
ci induce a compiere.
Letteratura e geografia non ridisegna solo reticoli letterari
in cui ogni luogo è nodo e snodo di fatti culturali (esempi efficaci
quelli presi dall'area russa, dal Caucaso a Cherson, alla Volga,
che incrociano i nomi di Puskin e Tolstoj, Gogol' e Bulgakov, o
aspetti sociali e antropologici nei saggi di Uspenskij, Solivetti,
Giuliani, Piccolo, Szilard, Virolajnen). Il libro illumina un
aspetto
ulteriore: il valore semiotico degli spazi (Pezzini) o di luoghi di
produzione del senso come la «soglia» (Gentili): in forma di limite,
passaggio e infine accesso all'eterotopia. È dunque la letteratura
stessa a creare gli spazi. La referenzialità tra vita e
rappresentazione si inverte.
«Articolare la vita - bios - in una mappa» era il sogno di
Walter Benjamin nella sua Cronaca berlinese. Il bios
comprende tutte le attività dell'uomo: simboliche, poetiche,
poietiche. «Ogni
carta - come rivelato dall'inglese "plan" - è un progetto sul
mondo», quello di «trasformare - giocando cl'anticipo, cioè
precedendo - la faccia della terra a propria immagine e somiglianza»
(Farinelli). Le carte letterarie sono dunque exempla di questo
pensare lo spazio «fino in fondo», esponendone la volontà
trasformazionale rispetto alla realtà.
Di tutto ciò possiamo convincerci leggendo Piani sul mondo
curato da Guglielmi Iacoli: correndo tra le carte medievali e
rinascimentali, in un ambivalente rapporto tra picture e scripture
(Veneri), tra letteratura e cartografia (lacoli), cartografia e
filosofia (Tanca). Incontriamo mappe di diversa natura:
autobiografiche, personali (Guglielmi), egemoniche (Pala); mappe
dell'aldilà
(Caltagirone), e ancora di un aldiqua disorientante e postmoderno
(Albertazzi); cartografie esplicite (da Strabone a Tolomeo), sino a
mappe di narrazioni come L'isola del tesoro di Stevenson e
cartografie sommerse: quelle di genere, ad esempio, che danno forma
di corpo sessuato alle rappresentazioni cartografiche. Le mappe
implicite sono invece fenomeni di riatrivazione mnestica, in chi
scrive e in chi legge: «la proliferazione nel testo di luoghi fittizi
o esistenti e riconoscibili crea un legame decisivo con
l'immaginazione del lettore, chiamato a costruirsi una mappa mentale
dei luoghi nominati» (lacoli).
Elaborare mappe patemiche alla ricerca del latente quadro
topografico distrutto da eventi traumatici: questa spinta innesca la
rubrica Cartografie dell'immaginario raccolta, nella sua
prima puntata, Mappe di un'assenza, per il numero di «Limes»
di febbraio 2013. Il logo si affida a versi di Paul Celan,
originario di luoghi scomparsi dagli atlanti storici: qualcuno nel
buio
guarda i solchi della propria mano al lume di una lampada: questa la
«mappa» per orientarsi. Nel logo un'impronta di mano viene
interpolata con una carta geografica e integrata, come un
emblema, da una didascalia.
«Vieni fino a noi sulle mani
Chi è solo con la lampada
Ha solo la mano per leggerci dentro»
(Paul Celan)
Un'assenza che non è metafisica, ma determinata dalle distruzioni
del XX secolo. Un toponimo, addirittura il suo suono, si fa
esperimento di geografia performativa, in grado produrre un catalogo
di luoghi-relitti: luoghi di oblio di un'Europa postraumatica.
Assumono rilievo cartografico le topografie di Paul Celan, Czeslaw
Milosz, Michalis Pierìs, Mahmud Darwlsh (con contributi di Camilla
Miglio, Luigi Marinelli, Paola Maria Minacci e Simone Sibilio, in un
dialogo pictura-scriptura con le con le carte di
Laura Canali). In arrivo, nel numero di giugno di
«Limes», le carte-paesaggio dal Galateo in bosco di Andrea
Zanzotto (con il contributo critico di Andrea Cortellessa).
I testi si possono leggere come territori di genesi (così il poeta
anglo-austriaco Peter Waterhouse ama definire, per esempio, le
poesie di Celan e Zanzotto). La sfida delle «carte sentimentali»
(Canali) è proprio questa: non negare la referenzialità al bios,
alla vita e ai dati della bio e antroposfera, ma accedere a uno
spazio terzo geopoetico in grado di dare conto della memoria, della
percezione e della proiezione dell'uomo, che le carte geografiche
(come le storie letterarie, comprese le rappresentazioni della
morettiana «letteratura vista da lontano») non sempre negano,
ma spesso nascondono.