Recensioni / Editing collettivo

È un bel libro, anche graficamente. La sua eleganza ricorda le edizioni Einaudi, che “si erano fatte disegnare da Francesco Simoncini una variante del Garamond (…) il Simoncini Einaudi, come da allora venne chiamato”. Ma è soprattutto un libro vivo: nei ricordi, nella descrizione dell’attività editoriale, nella rievocazione degli episodi, nei ritratti delle persone con cui Baranelli (1936) e Ciafaloni (1937) hanno lavorato. Dietro i libri ci sono gli individui, ma non sempre li vediamo all’opera. Qui sono, meritatamente, protagonisti.
Questa visione di scorcio del lavoro einaudiano tra il 1963 e il 1983, l’anno della crisi finanziaria che per poco non travolse la casa editrice, è affidata a due intellettuali di formazione assai diversa: più storica e letteraria quella di Baranelli, più scientifica quella di Ciafaloni, ingegnere (“Lavoravo all’Agip mineraria, ma l’assassinio di Mattei rese inutili i miei studi”). I due amici lavorano, appunto, nella stessa stanza, prevalentemente a libri e collane di attualità politica.
Baranelli viene a Torino da Siena nel giugno 1962, chiamato da Renato Solmi, coltissimo redattore in prima fila per la germanistica e la militanza politica di sinistra; ed è quasi subito testimone
di una delle più gravi crisi interne al consiglio editoriale. Il violento scontro sull’inchiesta di Goffredo Fofi sull’immigrazione meridionale a Torino (ottobre-novembre 1963) termina con la bocciatura del libro, che uscirà l’anno dopo da Feltrinelli, e con il licenziamento in tronco di Renato Solmi e Raniero Panzieri. L’esordio di Ciafaloni è meno drammatico.
“Mi licenziai da Boringhieri e fui assunto da Einaudi all’inizio di gennaio del ’70 per occuparmi niente meno che delle scienze, umane e disumane (…) In stanza con Luca, mi occupavo di temi politici, sociopolitici, sindacali – e scientifici, quando serviva”.
Il racconto parte da una lunga conversazione tra gli autori e il curatore Alberto Saibene (Firenze, 30 maggio 2012), e prosegue con alcuni testi editi, ma sparsi in riviste di non facile reperimento. Spicca per la sua importanza l’intervista del 2007 di Luca Zanette a Baranelli sulla “Serie politica”, la celebre collana viola varata dopo il ’68 per volontà di Giulio Einaudi. Affidata
ai due redattori di sinistra, raccoglie interventi di tipo militante, analisi politiche, storiche e sociologiche che nulla hanno perso del loro valore, nessun “instant book”. Baranelli ricostruisce un episodio circoscritto ma caratterizzante nell’attività editoriale di quegli anni, anche se preferisce non definirlo “progetto”: “A me pare una parola un po’ troppo solenne e ideologica (…) Credo che i libri non siano pezzi rigidi di una macchina, che abbiano sempre qualcosa di sfuggente, d’incontrollabile (…). Li vedo anche e soprattutto nella loro singolarità, nella tenuta o debolezza culturale di ciascuno”. Una collana come la “Serie politica” può “avere l’ambizione di costruire un discorso articolato”; ma ciò che conta è la qualità del singolo testo, la reazione che suscita nei lettori.
Notevole anche la ricostruzione di Baranelli del “caso Fofi”: sobria, equilibratissima da parte di un testimone che fu schierato con Fofi, Solmi e Panzieri, ma anche drammatica e avvincente come una trama poliziesca. Ed è significativo che una delle grandi ragioni d’interesse di questi ricordi sia lo spazio dedicato a due libri che l’Einaudi non pubblicò: L’immigrazione meridionale a Torino, appunto, e l’inchiesta dell’avvocato Bianca Guidetti Serra sulle schedature dei dipendenti Fiat, che nel 1983 venne mandata al macero già in bozze. “Portammo una copia
stampata da Rosenberg & Sellier – ricorda Ciafaloni – che puntualmente la ricompose e la pubblicò nel 1984 con notevole successo e numerose ristampe”.
Baranelli ricorda poi Sergio Caprioglio, massimo esperto italiano di Gramsci e curatore dei suoi scritti. Ciafaloni ci parla con affetto di Italo Calvino e dedica alla crisi Einaudi due importanti
interventi (1984 e 1987). Completa il volume un’appendice iconografica ricca di fotografie inedite.
Ogni persona nominata balza viva fuori dalla pagina. Giulio Einaudi prima di tutto, “della scuola never complain, never explain”, che nelle riunioni del mercoledì “ti faceva ostentatamente
l’occhiolino come per dire che era d’accordo con te, ma tanto le tue opinioni non contavano nulla”. E poi Calvino (Ciafaloni: “Mi disse che era stato il capo del servizio d’ordine del Pci a Torino, il che non è poca cosa. Lo stesso Berlinguer gli offrì di fare il politico a tempo pieno. Italo ci pensò e gli disse di no”); Mila (Baranelli: sul caso Fofi “rispose di essersi convinto che il libro non sarebbe stato pubblicato perché attaccava la Fiat (…) la disarmante verità traeva efficacia dalla pacatezza del tono”); Vittorini “già molto malato e con una maschera di atroce sofferenza”; Bobbio e Venturi, Bollati e Cantimori, il direttore commerciale Roberto Cerati e il direttore tecnico Oreste Molina. Nessuno è dimenticato, dai più illustri consulenti ai colleghi che al momento della crisi accettano unanimi la cassa integrazione a rotazione, in questo caso “forse unico e irripetibile di editing collettivo”.