Recensioni / Due fettine di salame, poesie

In un contesto, quello dell’Italia di oggi, in cui scrivere poesie è considerato appannaggio di pochi, e leggere poesie di pochissimi, un esordio poetico come quello di Giovanni Previdi non può che lasciare piacevolmente sorpresi. Soprattutto se si considera la singolare struttura compositiva del libro, diviso tra lo spartito dialettale delle versioni originali, poste in appendice, e l’esecuzione in italiano con cui si è scelto di presentare i componimenti. Nella nota introduttiva l’autore spiega come il suo dialetto, appreso durante i soggiorni estivi nella “piccola patria” di Villa Poma, nel mantovano, gli si sia manifestato sotto forma di linguaggio poetico solo dopo aver covato per anni in “un cantuccio da qualche parte dentro di me”. Sembra di riascoltare il racconto di Pasolini sulla parola rosada, la rugiada friulana che avrebbe provocato in lui “la prima accensione della letteratura dialettale all’aura della poesia”, come la definì Gianfranco Contini. Anche l’operazione di autotraduzione accomuna Previdi a Pasolini, ma le ragioni e gli esiti non potrebbero essere più diversi: Pasolini privilegia la lingua pura del dialetto materno, e alle traduzioni italiane affida il ruolo di fedeli didascalie, mentre Previdi mette in primo piano le versioni in lingua, assecondando così l’esigenza di una maggiore decifrabilità. Previdi, poi, non mostra segni di nostalgia per un passato ormai perduto, ma anzi traccia con lievi pennellate un quadro vivido e ricco di personaggi e situazioni in bilico tra il quotidiano e il surreale, tra le “nebbioline leggere leggere” della pianura padana e “i vetri che sembra che sudino” all’arrivo dei primi freddi dell’inverno. Trovano spazio anche alcuni ricordi d’infanzia, ma la sensazione è che su questo mondo paesano si sia stesa una patina atemporale che fissa le immagini in un’epoca indefinita in cui l’ieri e l’oggi scivolano via insieme, lenti come le gocce di pioggia sulle finestre. Lo sguardo disincantato del poeta accompagna il lettore dentro e fuori le mura di casa, intervallando brevi istantanee di vita familiare, in cui sembra di vedere i due innamorati che si abbracciano davanti al lavandino e si guardano negli occhi “come due anatre mute”, a più ampi racconti di sapore tragicomico. Sono forse proprio questi poemetti dall’incedere narrativo ad aver suggerito ai curatori della collana “Compagnia Extra” l’accostamento con Raffaello Baldini, precursore nella scelta di adottare l’ironia come filtro con il quale osservare gli strampalati protagonisti delle sue poesie, figure di lunatici con la “testa fata mèl”. Anche in Previdi si trovano personaggi sopra le righe, come in Fili, epopea della lotta contro la giungla di cavi che si accumulano in un miniappartamento, o nell’esilarante Ridono, ridono, ridono, in cui il protagonista rivendica orgogliosamente la propria diversità dal branco di colleghi “con le facce tutte uguali” che ogni mattina si sbellicano dalle risate senza un vero motivo.