Recensioni / Nella casa degli intellettuali


Redattori Einaudi negli anni dell'engagement, autori dei testi (e protagonisti dell'intervista) che Alberto Saibene ha raccolto in questo Una stanza all'Einaudi, Luca Baranelli e Francesco
Ciafaloni tracciano in poche pagine il ritratto d'una stagione sempre più indistinta e remota: gli anni della contestazione e i loro palchi e retropalchi, prima la nascita d'un movimento operaio dissidente con “i fatti di Piazza Statuto" del 1962, quindi le occupazioni universitarie e la nuova sinistra, le stragi nere, il brigatismo, l'antifascismo pulp e infine l'intero pacchetto di catastrofi a valanga degli Anni Settanta.
C'era fin dall'inizio Baranelli, al quale più tardi s'aggiunse Ciafaloni, dietro la più “sessantottesca", dunque la più caduta ma anche la più iconica, delle collane einaudiane: la Serie Politica, brossurata, tascabile, la copertina viola, o meglio “color del vino" secondo Giulio Einaudi. Nata nel 1968, la Serie Politica doveva rispondere alla “domanda” di libri, «per qualche anno
famelica, del pubblico giovanile [...] un'élite di giovani militanti i quali volevano informarsi, e non cercavano soltanto slogan, propaganda, o opuscoli efifimeri». Baranelli cita i titoli più
sobri della collana e prende un po' le distanze dalla parte più dadaista e immaginifica del catalogo. Per esempio da L'estremismo, rimedio alla malattia senile del comunismo di Gabriel
e Daniel Cohn-Bendit, «uno dei peggiori della collana», che fu «imposto da Einaudi», al quale «ogni tanto piaceva prendere iniziative personali “estremistiche”» (nel 1983 pubblicò Pipe-line,
un testo marxista rococò di Toni Negri). Baranelli prende le distanze anche dai titoli dedicati alle Pantere nere e a Malcolm X ricordando che una volta un collega «gli chiese se dovevamo
proprio riprendere le idee del movimento dei neri in America, che hanno sbagliato tutto». Non uscì nella Serie Politica, ma addirittura nei Saggi, il testo che avrebbe fatto da prefazione al
goscismo dell'epoca, Operai e capitale di Mario Tronti, libro ai tempi giudicato «degno di pubblicazione», anche se già allora ci fu chi lo liquidò come la fantasia d'un filosofo per metà
marxista e per metà gentiliano che «teorizza “a bischero sciolto", come mi scrisse Timpanaro», racconta Baranelli, «dopo averlo letto».
Ma proprio i titoli “a bischero sciolto", i titoli più imbarazzanti e puerili, sono quelli che raccontano meglio l'età remota dei Quademi rossi, di Potere operaio e di Servire il popolo, del
Psiup, delle prime imprese brigatiste. Conservo (in solaio, ma li conservo) molti titoli della Serie Politica: i saggi sul carcere come scuola di rivoluzione, sulla controrivoluzione globale, su
Springer e la manipolazione delle masse, sulla strategia della collaborazione dal 1945 al 1949 tra Pci e direzione Fiat (uno splendido libro di Liliana Lanzardo). Purtroppo mancano, come
ammettono anche Baranelli e Ciafaloni, i titoli che avrebbero potuto (e dovuto) denunciare il crescente clima di violenza invece d'approvarlo tacendo.

Nessuna pietà. Alla fine anche la Serie Politica Einaudi diventò una “collanuccia residuale”, come capita sempre. Finora solo Carlo Fruttero e Franco Lucentini, nel loro libro più bello,
A che punto è la notte, avevano raccontato con penna beffarda l'Einaudi sotto incantesimo goscista. Baranelli e Ciafaloni la raccontano, quarant'anni dopo, senza farsene beffe. Sia
Fruttero&Lucentini che Baranelli&Ciafaloni non fanno sconti all'Editore. Se i primi mettevano alla berlina le sue infatuazioni estremiste, i secondi rimproverano a Giulio Einaudi il fallimento del suo progetto pedagogico, anzi «egemonico», corregge Ciafaloni.