Recensioni / Come si soffre nella bella Russia

Quanto mai opportuna appare la ristampa, nella medesima traduzione di Gigliola Venturi approntata per l’edizione Einaudi del 1962, di “Fatti d’altri tempi nel distretto di Pošechon’je”
di Michail Saltykov-Šcedrin (1826-1889), capolavoro indiscutibile di un autore che ha pagato duramente la ventura di vivere nel secolo e nel paese di Gogol’, Dostoevskij, Tolstòj, Céchov e Turgenev. Pure nessuno come lui ha saputo esprimere un così radicale sentimento di ripulsa nei confronti della servitù della gleba e di quell’universo umiliato e offeso che di lì a poco diventerà per chiunque il proletariato. Nessuno, nemmeno il timido liberale Turgenev. Le armi stilistiche di Saltykov, tutte acuminate, sono il sarcasmo, la satira, l’umorismo nero, in una ricchezza
straordinaria di sfumature e di variazioni improvvise. I suoi ritratti, corrosivi verso i potenti e pietosi nei riguardi degli ultimi della terra, restano impressi nella memoria anche in virtù di una caratura politica di risoluta modernità. Il democratico Saltykov – la cui opera più nota resta I signori Golovlëv (1880) – lavorò con forsennato ardore all’autobiografico Fatti d (previsto in tre volumi) negli ultimi quindici anni di vita. Diceva che la Russia era il paese migliore dove vivere perché “si soffre di più”.