Recensioni / Il mondo in una stanza, ovvero la cosmografia dell'architetto Italo Rota

 

Il progettista del Museo del Novecento traccia una mappa teorica e illustrata sulla contemporaneità

Difficile parlare, anche in modo autoironico, di utopie architettoniche e significati simbolici degli spazi in un momento in cui la «res aedificatoria» è ridotta a una questione di finanziamenti, metri quadrati e piani urbani. Eppure, con sguardo da flaneur neo orientalista, l'architetto e designer Italo Rota ci prova passando in rassegna i suoi Passages di una vita tra città, libri, musei e interni d'autore per ricavarne una visione sul futuro sintetizzata in scritti, disegni, mappe e visioni. Il libro Cosmologia portatile (Quodlibet/Abitare, pp.258, e 23) del progettista del Museo del Novecento di Milano esce nella collana che annovera gli scritti di altri grandi protagonisti dell'architettura degli ultimi decenni, tra i quali Robert Venturi, Giancarlo De Carlo, Yona Friedman e Aldo Rossi. È un viaggio tra i boschi del pensiero sintetizzata in una cosmologia immaginaria che ricorda, nello zodiaco finale, le tavole dell'Anfiteatro della saggezza eterna dell'ermetista-rosacrociano Heinrich Khunrath (1560-1605). In fondo, come quello di Khunrath, anche quello di Rota è un libro di arte della memoria, personale e bizzarra, fatta di accostamenti per similitudine, rimando, profondità, interiorizzazione come se fossimo ancora (o di nuovo) in quella che Michel Foucault chiamava «l'età classica». Dico di nuovo perché il libro si apre con un capitolo dedicato al Big Bang della modernità dopo la quale si colloca la visione pop pansofica di Rota che, se vogliamo collegarla a un'altra recente ricerca, possiamo farlo con la Biennale d'arte 2013 curata da Massimiliano Gioni intitolata Il Palazzo enciclopedico . Anche qui domina la ricerca di un nuovo enciclopedismo fondato sulle incompletezze e sulle lontananze.La cosmogonia di Italo Rota si fonda su presupposti quali il rapporto con il cosmo e con il corpo e sviluppa una cultura dell'interieur inteso sia come propria interiorità che come spazi interni. Il mondo finisce così in una stanza, anzi, in stanze molto particolari come quelle dove vissero Freud, Wittgenstein e Perec, ovvero in interni che sono spazi della mente prima ancora che luoghi fisici. A partire da queste ricognizioni Rota deduce modalità quasi operative per la progettazione, in particolare per l'allestimento dei musei e di interni d'abitazione, secondo le quali ogni installazione deve essere un processo empatico, non un cubo vuoto o bianco: «Nell'installazione si penetra con il proprio corpo e lo spettatore si trasforma in viewer». La casa, per Rota, non è mai solo dimora: è zaino, o albergo (questa casa è un albergo) o garage palcoscenico, mai casa museo costruita una volta per tutte intorno a se stessi sul modello della Glass House di Philip Johnson a New Haven. I suoi non modelli sono altri: il Merzbau dove Kurt Schwitters radunava gli objet trouvé , oppure quella specie di dollhouse che è Etant Donnés di Marcel Duchamp, la casa disposofobica dei fratelli Collyer che accumularono 130 tonnellate di giornali, oggetti e memorie all'interno come magistralmente descritto nel romanzo di Doctorow? Insomma, anche nel pensiero di Rota il mondo circostante influisce in maniera determinante nella conoscenza e nella formazione di un individuo proprio come, sin dal XVII e XVIII secolo, l'empirismo di John Locke e David Hume aveva posto in luce. Ma Rota offre un'indagine personale di questo rapporto nella quale tutti gli elementi del cosmo sono legati e interagenti l'uno con l'altro come nel Seicento. Una prospettiva, questa, alternativa agli studi psicologici, quantistici e statistici e a quelli di neuroestetica, che esaminano oggi il rapporto uomo mondo in prospettive oggettivistiche.