Fout-il bruler Kafka? E’ la celebre domanda rivolta, nel maggio del 1946, dalla rivista comunista «Action». Altrettanto nota è la risposta, in forma di saggio, di Georges Bataille. Il suo Kafka devant la critique communiste è del1'ottobre 1950: i comunisti tenderebbero a bruciare Kafka poiché, sostiene Bataille, Kafka contraddice i loro principi essenziali:l'azione e il cambiamenlo. Kafka sopprime l’idea stessa di rivolta e alla fiducia nell'attività efficace, come all'autorità che lo schiaccia, oppone una «gioiosa» e «sovrana» accettazione della morte. Nel 1951 appare in Germania, per i tipi di Beck, il piccolo capolavoro di Günther Anders Kafka pro and contra. Die Prozeß-Unterlagen. Quodlibet lo ripubblica in questi giomi (Kafka. Pro e contro. I documents del processo, a cura di Bamaba Maj, pp. 205, € 14,50) aggiungendo l'intero dossier della polemica che allora si scatenò tra l'autore e Max Brod. La scelta, va detto subito, è stata molto opportuna. Poiché nei confronti di Brod, del Kakfa à a Brod, la provocazione di Anders è così continua e palese, che il lettore si attende quasi a ogni capoverso la reazione dell'amico di Kafka: ed egli teme, se è un buon uomo caritatevole, e si augura, per il bene di Brod, che questi non cada nella trappola; oppure apprezza, se è di diverso temperamento, il modo in cui Anders induce Brod all'arringa, sapendo che l'avvocato sarà anche testimone, e proprio il testimone meriterà la condanna. Dunque pregusta, il simpatico lettore, l'istante in cui Brod difenderà il suo Kafka religioso, ammettendo e assumendo, senza volerlo o rendersene conto, le proprie responsabilità nel processo-trabocchetto. Così, in effetti, doveva accadere. Mi rincresce, dirà Anders nel 1980, che Brod, già uomo anziano, si sia reso abbastanza ridicolo. Sono parole ironiche, ma anche sincere. Poiché Anders non intendeva affatto usare Kafka per colpire Brod. E questo era evidente sin dalla primissima stesura del saggio, pronunciata come conferenza a Parigi nel 1934. L'oratore, allora un giovane filosofo antifascista, ebreo in fuga dal nazismo, si scagliava contro i pericoli della moda kafkiana, che con straniante profezia egli vedeva già incombente e gravida di frutti malsani. Deprivato della cittadinanza tedesca, privo della francese, Guncher Stem (Anders è uno pseudonimo) era già abbastanza costretto a vivere kafkianamente per apprezzare «l'occupazione preferita» dal personaggio K., dedito alla sua colpa con urtante ed assai pericoloso «narcisismo negativo». Tra il pubblico, che rimase generalmente indifferente o perplesso, sedeva però il cugino dell'oratore, Walter Benjamin. Ora, Benjamin, nel suo saggio su Kafka scritto proprio nel '34, prese sul serio - com'e noto - la categoria di fallimento, da cui anche gli elementi messianici delle parabole erano per lui non separabili. Nella versione definitiva, lo splendido Kafka: Pro e contro non soltanlo trattiene ed elabora alcuni motivi di ascendenza benjaminiana (il tema del gesto, o dell'inespressivo) ma procede nella maniera più originale proprio da quell'idea di «fallimento» che indusse Kafka, sul letto di morte, ad affidare a Brod la distruzione dei propri scritti. Ma se Brod, che non rispettò la volontà dell'amico, doveva cadere in trappola, il saggio di Anders è ben più che una buca celata o una molla pronto a scattare. E’ uno strumento acuminato e capace della penetrazione più veloce e diretta: è una geniale ricapitolazione che punta al nucleo costitutivo dell'opera, e lo identifica non nel simbolo, non nell'allegoria, ma nell'immagine. La scrittura katkiana si rivela allora una manovra tesa a trasformare ogni proposizione in immagine. Eliminando i verbi, Kafka ricava, ad esempio, il suo «artista del digiuno» dalla proposizione «gli artisti fanno la fame», e da «le macchine Sono mortali» la «macchina della morte» della Colonia penale, oppure riduce a immagine la frase «gli oggetti Sono impenetrabili», e si trova di fronte 1'enigmatico Odradek. Tutto si fissa in un’ immagine, e nell'immagine kafkiana, che sostituisce ogni svolgimento, che eterna, blocca e paralizza la realtà, la realtà dimostra di essersi messa talmente male da non poter andare avanti. Perciò l’ immaginifico Kaflka è il vero realista. Anzi «la fantasia di Kafka fa vergognare la musa del realismo, che, arrossendo, se ne va di soppiatto». Ma proprio qui il «pro» si rovescia in «contro». Accade infatti che le immagini si addensino e, rivolte in direzioni opposte, collidano, producano una situazione di stallo. La metafore di Kafka sono più ambigue e indecidibili, dunque le più ricche e belle. Ma la riuscita artistica è anche lo stigma del loro fallimento. Per quanto realistica, la presentazione kafkiana del mondo rimane un’ immagine, immobile a sua volta. La stessa sete di redenzione appare pietrificata, e anzi con la sua bellezza il realismo diventa apologià. II terrore dal mondo reificato non è così solo fissato, ma si trasmette nella immagini. L'arte è infine lo scacco insuperabile a cui Kafka stesso tentò, con le sue ultime, inascoltate volontà, di sottrarsi. II libro non è scritto contro Brod, e contro Anders Brod non fu il più ridicolo. Non come Heidegger, che nel 1933 aveva tolto le borse di studio agli studenti ebrei, quando pensò di poter scomunicare 1'allievo di un tempo, reo di una «diserzione nella prassi». Prassi era per Anders anche una rivolta contro la moda tedesca dal dopoguerra: con la divinizzazione di Kafka, egli disse, si cancella 1'uccisione di milioni di suoi familiari. Prassi è il gesto con cui, subito dopo Bataille e senza nominarlo neanche, Anders riprese, alla fine del suo «processo», la domanda di «Action»: Also verbrennen? Dunque bruciare? No. Ma non per accettare «sovranamente» la morte - come se non si vivesse in modo già abbastanza kafkiano, come se, dopo lo sterminio, in piena era atomica; un simile contegno fosse ancora «sovrano» o soltanto possibile - bensi per comprendere a morte (zu Lode verstehen) Kafka: fin nel fallimento, che è il suo vero monito e consiglio.