Marina Ballo Charmet, artista con una formazione filosofica e
psicologica, dai primi anni Ottanta lavora anche come psicoterapeuta nei
servizi territoriali e pubblici di Milano. Professionalmente a contatto
con il mondo dell'infanzia, la fotografa propone opere che esplorano
l'essenza primitiva dell'immagine: frammenti di un universo empatico e
di un'esperienza profonda di conoscenza.
La mostra recentemente terminata nella sede di via Nizza del MACRO di
Roma ha omaggiato la sua carriera in un contesto particolarmente
stimolante. Presentata in concomitanza con la dodicesima edizione del
Festival Internazionale di Fotografia, l'esposizione personale di Ballo
Charmet si distingue, all'interno di una produzione contemporanea
particolarmente variegata, per la capacità di rappresentare il
potenziale poetico nascosto nei paesaggi urbani, in un'indagine del
quotidiano che sa esplorare le pieghe di anfratti tanto familiari quanto
ignorati.
Curato da Stefano Chiodi, il progetto si nutre dei sei movimenti
individuati dallo studioso e pubblicati nel volume Sguardo Terrestre,
edito da Quodlibet per la collana dei Quaderni del MACRO. La successione
di momenti evolutivi si delinea a partire dalla formulazione del
concetto di uscita come fase iniziale del processo creativo di Marina
Ballo Charmet: all'aperto, fuori casa, con l'intenzione coraggiosa di
scavalcare un confine, di infiltrarsi nell'alterità, di rischiare in una
trasferta azzardata e audace. Il mondo rivisitato, in questo senso, si
presenta simbolicamente come fabbrica di nulla, deposito di relitti,
ammasso metropolitano di scarti estetici. Qui, la fotografia è nutrita
di dispersione, in un percorso avventato di investigazione esistenziale.
Il cammino, altra circostanza di stimolo creativo, è inteso come neutra
pratica di spostamento: viaggio di conquista e destabilizzazione nei
confronti della conveniente e presupposta coerenza dell'immagine fissa,
stabile, condivisibile. Successivamente, occorrerà abbassarsi allo
sguardo del bambino, raccogliendo sensibilmente la prossimità tattile
con la superficie della terra. In questo disfacimento dell'orizzonte
prospettico, è paradossale che la ricerca di contatto sia compiuta per
giungere ad un risultato antitetico alle stesse premesse
dell'operazione. La vicinanza dovrebbe poter significare un maggiore
coinvolgimento a livello empatico, una comunicazione diretta
dell'interiorità delle cose. Al contrario, immagini distaccate e
oggettivate si palesano: rivelatrici soltanto di un non-senso
originario.
Mirando ad incorporare in ogni immagine la distrazione dell'osservatore,
l'autrice smonta gli assunti della fotografia deep-focused, invalidando
quell'insistenza dello sguardo che sapeva controllare e regolare
l'universo rappresentabile. Il non-a-fuoco corrisponde, così, a un
tratto di poetica e ad una critica implicita alla tradizione. I
risultati non suggeriscono fisionomie, non accennano a nascite
plausibili: semplicemente, rimangono silenziosi di fronte allo
spettatore con l'abbandono indifferente tipico dei residui. La
fotografia perde il suo status di prova, di testimonianza assoluta. Non è
traccia di un genere definito di esperienza, ma destrutturazione dei
processi storici e sociali di identificazione sentimentale, di
narrazione conciliante e di sedimentazione simbolica.
La trattazione, sulla scia di queste suggestive intuizioni,
approfondisce, attraverso un breve saggio di Jean-François Chevrier
intitolato A Terra. Bodyscae & Landscape, la tematica dell'erotismo
della percezione. In questo senso, gli scatti pubblicati sono letti come
tentativi di concentrazione sul funzionamento dello sguardo e sui
turbamenti della percezione. Dopo un'ampia galleria di immagini, una
conversazione tra Stefano Chiodi e Marina Ballo Charmet completa il
catalogo, gettando luce su scelte stilistiche e istituendo fertili
paragoni con le sperimentazioni di Gordon Matta-Clark e Donald Judd. La
monografia si chiude simbolicamente sulle riflessioni teoriche di Anton
Ehrenzweig riguardanti la validità di una visione periferica e di
Salomon Resnik sulla conoscenza distratta: legata al pre-conscio,
assimilabile alla sensibilità infantile e immune dall'influenza della
cultura dominante.