Recensioni / Tauromachia: L'anti-spettacolo che scandalizza

Uno studioso italiano dedica alla corrida un saggio antropologico e super partes.

Chi ama la corrida dovrebbe smetterla di leggere solo libri e blog che lo confortano in quella sua passione. Se non altro per confutarle, dovrebbe immergersi nelle ragioni di quanti la corrida vorrebbero abolirla. E invece niente. Di solito «l'animalista attacca e l'aficionado tace» rileva giustamente Matteo Meschiari, antropologo, in Uccidere spazi. Microanalisi della corrida (Quodlibet, pp. 80, euro 12). Oltre ad addentrarsi in un tema spigoloso, sul quale in italiano la letteratura è praticamente inesistente, il libro ha un altro merito: l'esser stato scritto da uno che, da subito, si dichiara «indifferente» alla tauromachia come etnologia, storia, estetica... Semplificando: cultura. Se la corrida «fosse nata in Svizzera nel 1968, per me sarebbe uguale ». Ma allora perché dedicarle uno studio?

A Meschiari non interessa tanto il combattimento quanto il pubblico: «Chi va nell'arena ci va per trovare qualcosa che manca lì fuori». Ossia? «Cose che abbiamo paura che muoiano o che non abbiamo ancora capito che stanno morendo: morte dell'animalità, del corpo a corpo, della narrazione e del tempo, morte del selvatico e della dissoluzione fisica». Ora, tutte queste morti, la corrida non le mette in scena, ma le fa accadere. Concentrandole nell'uccisione - sistematica - del toro e, raramente, in quella del torero. Senti ripetere che le arene sono sempre più disertate dal pubblico. Ma anche quand'era in auge la corrida non ha mai avuto veri spettatori. Perché - sebbene imbrigliata in un sistema rituale di segni - «non è teatro». Non è uno spettacolo. E - per quanto possa esser stata oberata di metafore esistenziali, morali, sessuali... - spezza l'ordine del simbolico dove tutto sta per qualcos'altro.

È forse questa sua letteralità a renderla anacronistica, intollerabile agli occhi di una modernità dominata da rappresentazione, simulazione, virtualità e compagnia bella (non per niente, il grande matador José Tomás rifiuta che le sue corride vengano trasmesse in tv). Senza farsi apologeta della tauromachia, Meschiari nota pure come molti dei discorsi antitaurini risultino «eticamente lacunosi». «Stabulazione e trasferimenti concentrazionari, immobilizzazione, stordimento e mattazione sono ammessi, accettati e opportunamente rimossi dalla coscienza collettiva che decide di non considerarli maltrattamenti». Insomma, finiremo tutti antitaurini e contenti. Davanti alla televisone, e una bella bistecca.