Recensioni / Imparare dalla Luna

Questo libro l'ho scelto per una ragione particolare, molte cose sull'architettura io le ho imparate dalla luna, dico davvero.
Molto tempo fa ho scelto di fare una tesi di laurea, con un progetto di Stazione Spaziale Orbitante, e poi al master ho proseguito con un modulo abitativo sul lato nascosto della Luna.
Avevo voglia di pensare l'architettura lontano dalle polemiche e gli schieramenti linguistici all'interno della facoltà dove studiavo. Ero stanco di dover pensare l'architettura in termini di stili, così l'architettura si insegnava, è così che ancora si insegna a Roma.
Era una scelta di comodo ma nascondeva anche l'esigenza di ripensare la forma in un luogo altro dove l'unico elemento fondativo era la tecnica e l'idea stessa di rappresentare l'uomo attraverso una forma pura. Tecnologia o Archetipo, segnare lo spazio  e non disegnarlo. Dopo sono tornato sulla terra, avevo bisogno della gravità. Ma questo libro di Stefano Catucci non è un libro di Architettura, anche se potrebbe esserlo, basta saperlo leggere. Ad un primo sguardo potrebbe non sembrare così, ma questo è un libro sulle immagini, anche se le immagini raccolte sono poche. Due in particolare appartengono alla nostra memoria collettiva, anzi al nostro codice genetico, sintesi perfetta del nostro immaginario sul Sublime.
La mia generazione ci è nata durante la conquista dello spazio, e anche se non ne ho piena coscienza, con queste immagini ci sono cresciuto, hanno rappresentato per me una nuova idea di mondo, che incredibilmente superava i confini conosciuti della terra, sono il codice sorgente della mia immaginazione.
Non parlo di una sequenza particolare o di una serie di immagini parlo esattamente di queste due earthrise e the blue marble.
Come Walter Benjamin diceva, ogni lettura storica deve essere capace di lavorare sul carattere dialettico di alcune immagini, Catucci lo sa bene e la sua lettura comincia proprio da un dialogo tra due fotografie, che raccontano lo sguardo. Guardare per comprendere. Guardare meglio. Guardare più a lungo. Guardare di nuovo. Leggere questo libro è stato un modo per immaginare il futuro, ed un modo per ripensare il passato.
Questa immagine non ci offre una terra corpo, ma una terra casa a cui ritornare...Avvertire l'aura di qualcosa, osserva Benjamin sulla scorta di questa citazione, significa dotarla della capacità di guardare, di operare sul tempo della nostra memoria suscitando  catene di associazioni che vanno al di là di quanto immediatamente visibile (Benjamin-1938)
Earthrise è precisamente un immagine della distanza nella quale la terra non compare come un oggetto di raffigurazione, ma come un soggetto dotato di sguardo. Sintesi tra scoperta e memoria, concretezza dell'esperienza vissuta e potere evocativo del sogno
Se the Blue Marble è un ritratto della terra, Earthrise è l'immagine di un’esperienza. E attraverso questa immagine abbiamo cominciato a percepire anche la Luna in modo diverso pensandola come suolo e non più come oggetto.
Trasformazione del cosmo in un paesaggio nuovo per l'azione e per il pensiero degli uomini.... L'estetica dell'irregolare e dell'informale ha trovato così  la sua confutazione più diretta  non nel campo dell'arte, ma nelle immagini dell'esplorazione spaziale. L'immaginario pop che già si affermava negli stessi anni, attraverso  una prima ricerca artistica  sui nuovi mezzi di comunicazione di massa riceveva dalle fotografie della Terra un modello di semplicità capace di unire lo straordinario con l'ovvio e l'inaudito con il consueto. Il passaggio a un'estetica postmoderna è avvenuto dunque in modo del tutto naturale nelle immagini provenienti dallo spazio e forse anche per questo la famiglia di fotografie che ritraggono la Terra a figura intera, ha finito per influenzare maggiormente  la percezione pubblica dell'era spaziale.
Molti della mia generazione raffiguravano, gli astronauti, come eroi moderni, senza comprendere a pieno, che con loro la modernità stava finendo. Per Lyotard, infatti, l'uscita dalla terra coincide con l'uscita dalla modernità.
Tutte le visioni cominciano da li, dal ribaltamento del punto di vista, dall'assenza di gravità. Dall'idea stessa che il nostro mondo è capovolto. La prima foto infatti è stata scattata diversamente, poi la versione ufficiale gode di quel ribaltamento che è poi realmente un prodotto dalla gravità.
Mi dispiace le mie figlie questo codice genetico, reso possibile dal ribaltamento del punto di vista, o dalla vista della terra dal di fuori non lo posseggono, abituate come sono a zoommare la realtà attraverso una visione frammentata fatta da tante immagini piuttosto che a costruire un proprio mondo interiore attorno ad una solo unica fotografia, un punto di vista fisso, punto di partenza di un idea di mondo in continuo divenire. Per loro la Luna è un luogo già visto, così come la terra è un punto di partenza per ciò che sarà.
Non è un caso che i miei collages che illustrano il post ripetono in maniera ossessiva lo stesso frame, quella era la foto più diffusa sulle riviste in quel periodo, non possedevo altro non esisteva un sequenza raggiungibile facilmente, dalla propria postazione a casa.
Ma questo divagare mi allontana dall'argomento principale di questo scritto, cercare di raccontare un libro come questo, che invece non racconta ma evoca il tempo, o diversamente il passaggio tra moderno e postmoderno. Un libro che vuole mostrarci come la conquista nasconda ancora l’idea di egemonia sul mondo, parlando anche di come negli ultimi anni sia cambiata l’idea stessa di immaginazione. Questo libro è una meravigliosa storia dell'immaginazione.
Una volta concentrata su un’ immagine statica che ci dava modo di costruire la storia,  oggi invece dispersa e frammentata tra tante immagini, da montare assieme, da selezionare, che di storie ne raccontano tante forse troppe.
Come possiamo definirlo? Un libro di estetica, un libro di filosofia, o semplicemente un libro di critica della fotografia? Io penso sia un testo che racconta la nascita della visione contemporanea. Tutto è legato alla storia delle missioni spaziali, e questo libro  racconta quest'ultima frontiera di conquista, reale o fittizia, come molti vogliono farci credere.
Siamo mai andati sulla Luna? (i complottisti sostengono di No) Reale o no questa storia esiste e Stefano Catucci ci prende per mano e ci guida alla sua scoperta.
È la nascita del mondo come paesaggio, la terra vista per la prima volta dell'esterno come oggetto isolato, spazio sferico ed omogeneo. Un luogo indifferenziato la cui dimensione universale è possibile definire solo ora dopo averlo osservato da una navicella spaziale, quasi per caso.
Non è un caso che in questo periodo viene organizzata la mostra Earthscape, primo momento di riflessione e nascita della Landart, la terra diventa oggetto e materiale da plasmare per gli artisti. Richard Long segna il paesaggio camminando, le sue tracce, però resteranno per poco, devono essere testimoniate dal medium fotografico.
Le impronte degli astronauti potranno rimanere impresse per più di 3 milioni di anni, se non sarà l’uomo stesso a cancellarle.
Sulla luna il senso del tempo storico è talmente alterato che gli oggetti artificiali possono apparire come pezzi di natura non per metafora, ma in senso letterale.
Molti architetti poi, senza i viaggi  sulla Luna forse  non avrebbero potuto immaginare il mondo. Penso a Superstudio per esempio e al loro considerare la terra come una cittá omogenea, un monumento continuo proiettato a connettere la terra prima, l’universo poi.
Tra le parole che raccontano quest’ avventura,  compaiono anche le storie degli uomini, degli astronauti, degli oggetti lasciati e dei livelli di significato connessi.
Storie  che compongono ed evocano un museo sentimentale di frammenti d’umanità. Preservare le tracce dell’uomo sulla luna è la nuova frontiera da indagare.
Pensare alla luna e alle possibilità future, al fatto che nelle prossime missioni ci sarà il desiderio di rivedere quei luoghi, gli stessi spazi, cioè contaminare le missioni con quello che può essere considerato un aspetto tipico del turismo contemporaneo: Instaurare con i luoghi un rapporto che tende a consumare surrogati d’esperienza e a desublimare l’alterità trasformandola in qualcosa di già previsto, da riconoscere più che da scoprire.
Ma questo è anche un libro che contiene altri libri, attraverso i quali l'autore disegna un affresco su una storia dell’arte diversa.
Ecco questo è il punto, l'impossibilità di stabilire un genere di fissarlo in una casella specifica, dunque forse è un romanzo, in cui i protagonisti siamo noi che Abbiamo fatto tutta questa strada per esplorare la Luna... e la cosa più importante che abbiamo scoperto è stata la Terra (Bill Anders-Apollo 8)