Da quando l’Oriente cinese e giapponese ha creato un’estetica sulle foglie della pianta chiamata Camellia sinensis
e ha coltivato fino alla più squisita perfezione il rito della
degustazione dell’infuso, molti trattati sono stati scritti sulla
difficilissima arte di preparare il tè, ma uno solo è rimasto nei secoli
l’archetipo, la summa del sapere «teistico», la base di tutti i testi:
il Chajing, Il Canone del tè, il più antico e il più importante trattato al mondo sulla coltivazione, la preparazione, l’uso e gli echi letterari del tè.
Fu composto intorno al 758, sotto la dinastia Tang, dal letterato e
poeta Lu Yu, che con questo libro dette un fondamentale impulso alla
cultura del tè e ne fissò lo spirito.
Alieno da ogni preoccupazione per l’esteriorità, Lu Yu insegna che le
circostanze e il luogo della degustazione non sono che accessori, ed è
quindi possibile variare l’etichetta in accordo all’ambiente, al numero
degli ospiti e al loro rango: accanto a un torrente tra i pini, si può
fare a meno di molte cose, «ma se, in una città, alla presenza di un re o
di un duca, manca anche uno solo dei ventiquattro strumenti prescritti,
allora è meglio rinunciare del tutto a preparare il tè».
La perfezione infatti va ricercata essenzialmente nella scelta accurata
degli ingredienti e degli strumenti, nell’attento rispetto delle
procedure di preparazione e nell’accorto equilibrio tra gli elementi che
vengono chiamati in causa – l’acqua, il fuoco, il legno, il metallo, la
terra – per rispecchiare in una tazza di tè l’ordine che governa
l’universo. Le pagine del Canone, che l’autore consigliava di ricopiare
su rotoli di seta da appendere alle pareti per tenere sott’occhio e
ricordare costantemente ogni aspetto della materia del trattato, si
configurano così come un affascinante e rigoroso manuale tecnico di
milleduecento anni fa e costituiscono un’opera di sottile poesia e un
sacro testo dell’antico Oriente, accessibile nella traduzione dal
cinese, corredata di un ampio apparato di note filologiche e storiche.