Recensioni / Una passeggiata nella vecchia Milano di Delio Tessa

La più azzeccata descrizione dell’uomo Tessa la fece Carlo Linati nel numero, datato 7 marzo 1943, della rivista “Settegiorni”, una delle tante con cui lo scrittore di Rebbio collaborava: «Non molto alto, minutino, sorridente da una faccetta lievemente rosata, un dente d’oro nella bocca vizza e dietro gli occhiali, ballettanti un po’ malsicuri nella loro orbita, quei suoi occhi grigi ed
acquosi, da cordiale allucinato».
Delio Tessa, avvocato per campare, scapolo, incallito frequentatore di case d’appuntamento, poeta e musicomane, competente di cinema tanto da scriverne in quotidiani e riviste, «al gomito la vecchia ombrella a becco di suo padre, diventata poi famosa tra gli amici come quella di Chamberlain», è stato l’ultimo cantore di una Milano bruscamente scomparsa con il dopoguerra,
quella del popolino e delle case di ringhiera, dei piccoli quartieri del centro con i cortili pieni di gatti, custoditi dalle portinaie raccontate del Verga di “Per le vie” e parenti di quelle simenoniane
care al commissario Maigret. “El Tessa” si aggirava dalle parti di via Olmetto, puntava via Zebedia e si spingeva verso il Duomo, dopo aver oltrepassato il lugubre edificio dell’Inps in piazza Missori, la “cà di bolitt”, captando ogni umore della sua città, rimasticandolo a lungo e poi distillandolo in eleganti e argute prosette impressioniste, musicali come i suoi versi, ché il poeta organizzava ogni sua lettura come una sinfonia, una vera e propria “concertazione” preceduta da specifiche “note di dizione”.
Paolo Mauri, sempre attento alla memoria letteraria del nostro Paese, ha ora raccolto in un ricco volume, dal titolo “Delio Tessa – La bella Milano” edito da Quodlibet di Macerata (pp. 413,
euro 16) tutta una serie degli splendidi schizzi tessiani – dalle “Prose ambrosiane” e dalle “Critiche contro vento” - pubblicati ne “L’Ambrosiano” di Gorgerino, cui collaborarono Gadda e Linati, e nei ticinesi “Corriere del Ticino”, “Giornale del Popolo”, “Illustrazione ticinese” e “Radioprogramma della Radio della Svizzera italiana”.
L’amore di Tessa per la Svizzera era di vecchia data, da quando, all’inizio del secolo, Senio Tessa, impiegato della Cassa di Risparmio, prendeva con moglie e figlio “vacanze a lago”, come moltissime famiglie della piccola borghesia milanese, e il Delio adolescente gironzolava per Lugano fissando nella memoria attimi e persone fissati poi magistralmente nelle “Brutte fotografie di un bel mondo”, uscito in parte nell’“Illustrazione Ticinese” del 1938.
«I milanesi che le domeniche baraccavano da Melide a Tesserete tornavan la sera mezzi “in cimberlis” verso Chiasso o Porto con gli ultimi battelli. …Il “Sempione” infilava sotto il ponte di
Melide…“Sbassa el coo Carolina se no te tócchet denter” Poi uno gridava ai bandisti: “L’inno…l’inno” e un altro “L’inno” e tutti “L’inno! L’inno!” e la banda “Si scopron le tombe si levano i morti…” attaccava l’inno di Garibaldi fragorosamente!», si legge nel terzo capitolo.
Ma è la Milano minuta e nebbiosa tra gli anni Venti e Trenta – Tessa morirà nel ’39, a nemmeno 53 anni, per la setticemia sopraggiunta a un ascesso mal curato – il capolavoro narrativo del poeta espressionista, che qui veste i panni di uno Chopin della penna restituendo al lettore immagini indimenticabili della povera gente, di impiegati e brumisti, pittori e tabaccai, rilegatori di libri e prostitute (ai “casott” lo chiamavano l’“avocat porscell”).
Antifascista di idee liberali – riuscì anche a portare Benedetto Croce a radio Monteceneri per un’intervista in diretta - «Tessa non rinuncia mai al bilinguismo», annota Mauri, «ancora molto diffuso ai suoi tempi, quando il dialetto era patrimonio comune a tutte le classi sociali, ma con sfumature diverse a seconda degli ambienti e usato sempre come rinforzo dell’italiano, quando si cercava, appunto, la parola giusta».
Amicissimo di Arturo Toscanini, che chiamava familiarmente “el Tosca”, l’avvocaticchio di via Olmetto, splendidamente ritratto dall’amica pittrice Elisabetta Keller, lo descrive più volte, anche
nell’intimità: «come vive? Semplicemente, circondato da alcune persone che gli sono simpatiche e care o per affetti famigliari o per ideali condivisi nella vita e nell’arte. Mi par proprio che gli altri gli siano del tutto indifferenti. Alcune volte poi, anche a mezzo di una conversazione, si estranea, se ne va, si allontana, sprofonda in un suo pensiero e lo perdi di vista».
Tessa, voce di un tempo che appare remoto, e non è trascorso nemmeno un secolo dalla sua morte: «Ero idealista e sono uno scettico», si legge nella sua bella “Autopresentazione a radio
Monteceneri”.
Qualche anno dopo la consapevolezza della morte se lo sarebbe portato via, un attimo prima che l’Europa si disfacesse nella cancrena della guerra.