«Carissima, vorrei sapere qualcosa di te o di voi in questi gravi
momenti. Sereno è mobilitato? Tu sei mobilitata? Come sai le frontiere
sono chiuse e non mi è più possibile entrare in Svizzera. Ho chiesto,
anzi, ho fatto chiedere al Consolato un permesso speciale ma non so
ancora la risposta. Vedi cos’è capitato? Non avevo ragione di esser
pessimista? È impossibile sapere e immaginare quello che arriverà ora.
Non do più una lira della mia vecchia pelle».
Non lontano dalla morte, che lo coglierà diciannove giorni dopo, Delio
Tessa scrive all’Irmetta, la segretaria del suo studio d’avvocato,
trasferita a Biasca per sposare il professore Sereno Musitelli,
direttore del locale ginnasio. È il 6 settembre 1939 e il poeta sente
avvicinarsi la guerra e con essa la morte, sua e del suo mondo, quello
di una Milano raccontata dal basso, fitta di gente umile, di portoni stanchi, di beghine che camminano rasente ai
muri. Chiusa la frontiera di Chiasso, lontane le vie di Tesserete, luogo
di vacanza per il giovane Delio e la sua famiglia, cala il sipario su
una vita al contrario, con la fine di un uomo nato già vecchio che trovò
nel dialetto milanese un mezzo espressivo di forza straordinaria.
«Non posso venire a Biasca come Foscolo a Londra!» scrive ancora
all’Irma, vagheggiando di lontano il Ticino, una terra libera dove
Tessa, a partire dalla metà degli anni Trenta, aveva intrapreso
collaborazioni a diversi giornali e alla radio, convinto dagli amici
Carlo Linati e Luigi Rusca, allora potente direttore della Mondadori.
Ma prima, all’inizio del secolo, Senio Tessa, impiegato della Cassa di
Risparmio, prendeva con moglie e figlio «vacanze a lago», come
moltissime famiglie della piccola borghesia milanese, e il Delio adolescente gironzolava per Lugano imprimendo nella memoria attimi e persone fissati poi magistralmente nelle Brutte fotografie di un bel mondo, uscito in parte nell’«Illustrazione ticinese» del 1938.
Ora questo universo scomparso ritorna alla luce grazie al libro Delio
Tessa – La bella Milano (Quodlibet, collana Compagnia Extra, 413 pp.,
Euro 16) curato dal giornalista e scrittore Paolo Mauri, in cui prende vita tutta una serie degli splendidi schizzi tessiani – dalle Prose ambrosiane e dalle Critiche contro vento – pubblicati ne «L’Ambrosiano» di Gorgerino, cui collaborarono Gadda e Linati, e nei ticinesi «Corriere del Ticino», «Giornale del
Popolo», «Illustrazione ticinese» e «Radioprogramma» della Radio della
Svizzera italiana.
Tessa amava molto la Svizzera, come testimonia anche uno scritto
dell’amico Linati, pubblicato su «Sette Giorni» del 1943: «Tessa era
felice quando poteva partire per la Svizzera; a Lugano aveva molte buone
amicizie, amava quel popolo giusto e sereno. Ricordo che spesso ve lo
condussi io in automobile, e le belle chiacchierate che si facevano
passando attraverso il confine e correndo lungo le luminose, azzurre acque del lago rallegrato da gabbiani e gitanti». Proprio in Svizzera il poeta di L’è el dì di Mort, alegher! avrebbe
probabilmente riparato allo scoppiar della guerra (l’amico Rusca gli
aveva proposto di lavorare alla libreria Melisa di Lugano) se la morte
sopravvenuta nel settembre 1939, in seguito a setticemia per un ascesso
mal curato, non gliel’avesse impedito. Nel frattempo Tessa aveva
abbandonato la poesia, gli ultimi desolati versi datano pochi mesi dopo
la proclamazione dell’Impero, poi il poeta si dedicò soltanto alle
dizioni e alle collaborazioni giornalistiche e radiofoniche. Del resto
l’uscita dell’unico libro pubblicato in vita, la raccolta L’è el dì di Mort, alegher!
edita da Mondadori nel ’32, era stata, come diremmo oggi, un flop, e le
copie ancora anni dopo si sarebbero trovate per poche lire nelle
bancarelle di bouquinistes di Milano.
Dal marzo 1936 aveva intrapreso una collaborazione con l’«Illustrazione
ticinese», allora diretta da Aldo Patocchi, e il «Corriere del Ticino»,
per tramite dell’amico e direttore Vittore Frigerio. Per il nostro
quotidiano Tessa scrisse parecchi articoli, riguardanti il cinema
(L’elogio di Charlot e quello di Walt Disney), le recensioni di libri
per autori quali Zavattini, Pea o Linati, i poeti milanesi raccolti in
antologia da Severino Pagani e i settant’anni dell’amico Arturo
Toscanini, chiamato familiarmente Tosca come del resto faceva la moglie
Carla.
Alla radio all’inizio venne invitato (forse su segnalazione di Linati,
forse di Guido Calgari) a leggere sue poesie, poi iniziò con recensioni a
libri e film (non senza attacchi alla cinematografia
italiana negli anni dell’Impero, esterofilo), racconti sceneggiati con
musiche (specie quelli dell’amato Emilio De Marchi), presentazioni di
commedie, come quella dossiana “Ona famiglia de Cilapponi”,
probabilmente su consiglio di Linati, che negli anni Venti l’aveva
ripescata per i tipi de «Il Convegno», la rivista diretta da Enzo
Ferrieri.
Il timido Tessa, con quella figura smilza e sparuta e gli occhi
dall’espressione di “cordiale allucinato”, riuscì a portare ai microfoni
di radio Monteceneri, in una memorabile serata dell’ottobre 1936, perfino Benedetto Croce, cui si sentiva vicino anche sul piano
politico, entrambi professando un antifascismo liberale. In una storica
fotografia Tessa gli apre la porta degli studi, con il filosofo che
entra scappellandosi nel salutare Arminio Janner, che poi lo
intervisterà. Ma prima ancora era stato suo ospite il poeta Trilussa,
che accompagnò in un tour ticinese nel maggio-giugno 1936: di quei
giorni il libro La bella Milano riporta la puntuale cronaca, con
il poeta romano, per gli amici Tri, preoccupato per le fotografie che
avrebbe dovuto farsi fare per il passaporto e un po’ triste perché a
Lugano pioveva sempre. Ma il poeta di via Rugabella guadagnava qualche
franco anche girando il Cantone come conferenziere ed eccezionale
lettore di versi suoi e del Porta, grazie alle eccellenti doti di fine
dicitore. Ed è curioso spulciare nelle pagine de «Il Cittadino» alla
ricerca del programma di una Conferenza Tessa al circolo di Coltura di Locarno del 6 maggio 1933: dopo l’esordio portiano con Trii sonitt, subito Tessa mette in scaletta opere sue, La corridora di vegett, On bell maghetta fino a La mort de la Gussona
per poi concludere con alcuni minori, come Lamberto Fasanotti (che gli
diede in gioventù ripetizioni di latino) e Giovanni Ventura e ancora con
El miserere di Carlo Porta.
Tutto il suo universo, quello di «un idealista diventato scettico», come
scrisse nell’autopresentazione per radio Monteceneri, di un uomo mite e
chino sul respiro della terra, quella più bassa di chi ha sofferto, capace di raccontare con un verso i colori di una
Milano di cortili e di gatti come lo schianto di Caporetto o la fine
straziante della vicina di casa.