Tornano a essere pubblicate, a distanza di circa un quarto di secolo, a
cura di Paolo Mauri (La bella Milano, Quodlibet, pagg. 413, euro 16), le
prose di Delio Tessa, uno dei più importanti e meno conosciuti fra i
grandi poeti del '900 italiano, autore nel 1932 di L'è el dì di mort, alegher!,
un capolavoro scritto in vernacolo milanese. Il volume si compone di
due tranches: la prima, “Prose ambrosiane”, pubblicate su giornali e
riviste della seconda metà degli anni Trenta, è dedicata a fatti,
atmosfere, personaggi milanesi, colti con vena freschissima di
bozzettista. La seconda, “Critiche contro il vento", dello stesso
periodo, raccoglie scritti più giornalistici, quali recensioni di libri e
film, ritratti di scrittori, cronache tuttora piacevoli da leggere, di
eventi
letterari, artistici e musicali.
Le “Proose” stanno alle poesie un po' come le Operette morali di Giacomo Leopardi ai Canti,
ossia hanno sicuramente a che fare con il cupo pessimismo che pervade
la produzione in versi di Tessa. Ma i toni sono più smorzati,
s'addolciscono nella descrizione degli angoli più caratteristici della
propria città, animati da «gente meccaniche e di piccol affare» già care
al Manzoni. È in questo mondo che la propria solitudine di modesto
avvocato scapolo può talora apparire provvida e addirittura felice,
capace di ammiccare sommessamente, e quasi dolcemente, al lettore.
Nei momenti più intensi, compare una pietas che ricorda quella che
pervade l'"umorismo" pirandelliano: la figura gigantesca della Natura
leopardiana si trasforma nell'erma bifronte che da una parte ride e
dall'altra piange. Elemento di contatto - fa notare giustamente Mauri
nella sua introduzione - fra queste prose e le poesie è l'uso del
dialetto, che s'affianca all'italiano, rendendo bilingue il libro. Il
milanese è usato da Tessa come elemento di straniamento: fioriscono
tonalità espressionistiche di tutto rispetto, che rinviano a quelle del
Gran Lombardo per antonomasia, ilCarlo Emilio Gadda che negli stessi
anni andava assemblando le pagine dell'Adalgisa.
Nelle prose di “Critiche contro vento” abbiamo a che fare con
l'assunzione di ruoli che forse, se non le avessimo lette, non avremmo
sospettato. Ad esempio quello di “critico filmistico", come lo definisce
Piero Gadda Conti, il cugino di Carlo Emilio. In questa veste, Tessa
esprime le sue ironie sullo Scipione l'Africano, che doveva essere il
colossal dell'orgoglio fascista e si trasforma, nella sua penna, in un
film di cui avrebbe potuto essere protagonista Alberto Sordi. Ecco uno
dei suoi commenti più sapidi: «Abbiamo viste le facce dei romani. Mi
assomigliavano maledettamente ai fornitori della mia mamma, ai bottegai
del mio quartiere. C'era la faccia del droghiere, c'era quella del
salumiere... a tutti avevano messa una parrucca ricciuta e a tutti
avevano raccomandato di fare il muso duro perché, non dimenticatelo,
siete antichi romani». Non erano certo frequenti ai tempi dell'Accademia
d'ltalia, inzeppata di mezzi busti opportunisti, queste ironie di uno
scrittore che non vendeva quasi niente, ma parlava chiaro. Altro
capolavoro, in campo filmico-teatrale, anche se filologicamente non tutto
attendibile, è il confronto fra Charlot di Charlie Chaplin e Tecoppa,
creato in Italia dall'attore Edoardo Ferravilla. E altro ancora va
citato: l'immagine di Toscanini in casa sua, il ritratto di Trilussa, la
recensione all'antologia Poeti milanesi contemporanei, sconsigliata dal Minculpop fascista ai giornali italiani e pubblicata impavidamente sullo svizzero Il Corriere del Ticino.