Recensioni / La Usine Verte, utopia olivettiana

Le Corbusier è sempre fonte di novità nonostante la sterminata bibliografia e le mostre che con frequenza gli si dedicano: lo scorso anno a Marsiglia e Roma, ora a Barcellona (Le Corbusier, un atlas de paisages modernos, proveniente dal MoMa di New York e curata da uno dei suoi massimi conoscitori: Jean-Louis Cohen). Tra i saggi recenti sull'opera dell'architetto svizzero-francese merita di essere segnalato quello di Silvia Bodei, Le Corbusier e Olivetti La Usine Verte per il Centro di calcolo elettronico (Quodlibet, pp. 216, € 32,00).
L'autrice, dell'Università di Cagliari, ci racconta una storia forse poco nota anche a chi si occupa di architettura abitualmente: l'incarico che Adriano Olivetti affida nel 1960 a Le Corbusier per la progettazione di una fabbrica-laboratorio per le macchine di calcolo elettronico (l'azienda di Ivrea aveva già conquistato notorietà internazionale con l'invenzione del primo computer a transistor, l'Elea 9003, ideato da Mario Tchou e disegnato da Ettore Sottsass). Per una serie avversa di eventi il progetto non si realizza. ll 27 febbraio 1960, due settimane dopo la data ufficiale dell'incarico, Adriano Olivetti muore improvvisamente. Quattro anni dopo, la General Electric, alla quale la Olivetti cede la maggioranza delle azioni, decide di sospendere il progetto. Nel '65 Le Corbusier, dopo averlo ripreso e pubblicato nella sua Oeuvre complete, affoga nelle acque di Cap-Martin. Possiamo, quindi, solo immaginare la sorprendente novità che sarebbe stata l'Usine Verte calata in quel tratto di campagna poco prima di Rho, alle porte di Milano, dove, ieri come oggi, coesistono i resti della civiltà contadina, quali cascine, canali e filari di pioppi, con svincoli autostradali, tralicci dell'alta tensione, capannoni e tra breve l'estesa piastra cementizia dell`Expo: segni permanenti dello sviluppo industriale, anche se l'«Usine merveilleuse» è lì ancora che si deve materializzare. Le Corbusier immagina il suo modello di fabbrica integrato con il paesaggio agrario circostante e con le Alpi che si profilano all'orizzonte. La Bodei spiega che la scoperta della relazione fra architettura e paesaggio avviene «in modo dirompente» quando nel 1929 l'architetto si reca in America Latina per il Piano di Rio de Janeiro; ma è indubbio che già durante il suo Voyage d'Orient ('11) gli è ben chiaro il significato che assumono i valori ambientali in rapporto sia al monumento sia all'architettura anonima. Sono le case di Istanbul e di Atene a ridosso di moschee e templi che, come hanno rilevato Giuliano Gresleri e prima ancora Eduard Sekler, infondono quelle «istanze morali», delle quali si faranno paladini Morris e Ruskin e gli architetti della modernità. Le Corbusier ha un interesse antropologico per la «natura» e il «prodotto del lavoro umano», lo stesso che c'è in Olivetti quando associa l'urbanistica ai temi dell'organizzazione industriale. Dagli anni trenta li accomuna l'idea che società, industria e architettura sono in stretto rapporto. La «società macchinista» ha bisogno di architetti capaci non solo di creare costruzioni funzionali e standardizzate, ma di «emozionare» con le loro qualità estetiche; al tempo stesso nel mondo, «dove regnano le legge dell'Economia ed il calcolo», c`è bisogno di imprenditori illuminati e a loro Le Corbusier si rivolge nel 1925 con il suo Appel aux industriels. Tra i destinatari c'è Olivetti, che ha già dimostrato di condividere il manifesto affidando l'incarico per l'ampliamento della sua fabbrica a Figini e Pollini. Un capitolo del libro ricostruisce il mancato tentativo di Le Corbusier di partecipare con i due architetti razionalisti alla realizzazione della «Fabbrica di vetro» olivettiana: ne rivendica la paternità, pur criticando l'incongruente rigidità dei nuovi quartieri previsti nel Piano Regolatore di Ivrea. Non sono della stessa idea i suoi «amici» - italiani che si guardano bene dal coinvolgerlo. Per Le Corbusier non avranno esito neppure la villa e la stazione per gli sport invernali che Olivetti gli propone in alternativa alla progettazione del nuovo stabilimento. I due si rincontreranno quasi vent'anni dopo per il Centro elettronico. Le ragioni sono descritte in dettaglio in un documento della società Olivetti che oltre a riconoscere contigui i valori dell'azienda con l'opera del maestro, richiama il progetto lecorbusieriano del «museo mondiale, a crescita illimitata (Mundaneum), che «allungandosi e snodandosi, secondo la sua propria vita», può diventare un valido modello anche per l'industria. C`è molto del Corbu biologiste nel Centro di calcolo elettronico, com'è evidenziato nel capitolo finale. La Usine Vert, come la Ville Contemporaine, è «organismo»: cresce e si adegua ai ritmi della produzione come la città a quelli dei suoi abitanti. Anche il progetto prevede fasi diverse di realizzazione, e tre sono le soluzioni elaborate per l'azienda di Ivrea. Dopo gli studi preliminari e la scelta di un volume orizzontale «a scacchiera» quale spazio per la produzione, le altre due versioni si concentrano a definire quegli organi che ai livelli superiori dovranno contenere le attività di ricerca, amministrativa, esecutiva e di visita. Nella soluzione poi pubblicata nell'Oeuvre complète due blocchi verticali per uffici e laboratori, di cui il più grande curvo, qualificano in senso plastico lo stabilimento. L'azienda per motivi funzionali lo farà modificare, na anche così l'Usine Vert sarebbe stata un luogo privilegiato nel paesaggio lombardo, a dispetto di ciò che lì si è potuto banalmente costruire dopo.