Osservavano il mondo da visuali differenti - l'uno urbanista, l'altro
industriale - ma alla fine vedevano lo stesso, straordinario sogno: una
fabbrica studiata a misura d'uomo, in cui l'urgenza di un dialogo con la
natura circostante, fosse la cifra capace di umanizzare le ore di
lavoro. Ecco la grande utopia di Adriano Olivetti, industriale di Ivrea,
e di Le Corbusier, architetto svizzero, protagonisti di un'avventura
che non sarà mai vissuta: realizzare una usine verte per il "Centro di calcolo elettronico", una fabbrica verde e piena di luce per le macchine del futuro, i computer.
Ma il cuore di Adriano Olivetti si fermerà troppo presto, il 27
febbraio del 1960, mentre viaggiava su un treno diretto in Svizzera. Le
Corbusier metterà comunque a punto lo studio per la costruzione di uno stabilimento, non lontano da Rho. A bloccarlo, nel
1964, saranno le difficoltà economiche dell'azienda, costretta ad
alienare proprio il ramo della produzione elettronica (e il primato), all'americana General Electric.
Dunque, un breve incontro tra due carismatiche figure del `900, che
dagli anni Trenta in poi si erano osservate, spinte dalla sintonia di
vedute su che cosa dovesse fare un'industria, su come dovesse essere costruita, quale organizzazione sociale rappresentare.
Un dialogo a distanza, che Silvia Bodei, giovane architetto
cagliaritano, ricostruisce con intelligenza in "Le Corbusier e Olivetti.
La Usine Verte per il Centro di calcolo elettronico" (Quodlibet,
216 pagine, 32 euro). L'architetto studia i documenti, molti dei quali
inediti, custoditi nelle Fondazioni Olivetti e Le Corbusier. Analizza le
carte dell'archivio storico dell'industriale, vola in Cile per leggere
gli scritti di Guillermo Julian de La Fuente. Compara disegni e schizzi,
che hanno animato discussioni intorno ai tavoli di lavoro di urbanisti e architetti, per restituirci
una storia poco indagata, ma preziosa per cogliere i fermenti culturali.
La moderna "società macchinista" ha bisogno di un'architettura capace di "emozionare" e di un cliente in grado di interpretarne il messaggio. Così Le Corbusier descrive il committente nel 1923 in Vers une architecture. Un'idea-guida riaffermata nel 1925 in Appel aux industriels, manifesto che ha tra i destinatari Olivetti. In lui l'idea della fabbrica che includa il paesaggio circostante, diventando paesaggio a sua volta, è già profondamente
radicata. «La sua politica industriale - osserva Bodei - è attenta alle
condizioni di lavoro, al rapporto fabbrica-territorio, all'innovazione dei prodotti e alla loro qualità estetica». Inaugurando
lo stabilimento di Pozzuoli, 1955, Olivetti dirà «abbiamo voluto che la
natura accompagnasse la vita della fabbrica. (...) perché l'uomo
trovasse nel suo posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un
congegno di sofferenza».
Ivrea è già un crocevia di intellettuali, designer, architetti e i
prodotti - dai calcolatori alle macchine per scrivere portatili come la
Mpl o la Lettera 22, portano le firme di Aldo Magnelli e Marcello
Nizzoli. L'Elea 9003, il primo calcolatore al mondo a transitor, è di
Ettore Sottsass. Così, quando Olivetti decide di ampliare il vecchio
stabilimento e realizzare asili nido, mense e case per gli impiegati, non a caso si affida ad architetti come Luigi
Figini e Gino Pollini, interpreti della filosofia di Le Corbusier. Il
quale, da par suo, vorrebbe un ruolo da protagonista. I primi contatti tra i due sono del 1934 quando, «con grande disinvoltura
e autorità», osserva Bodei, il teorico del passaggio dalla usine noire alla usine verte
chiede di essere progettista. Olivetti conferma l'incarico ai giovani
architetti. Seguono venti anni di silenzio, rotti dalla curiosità di Le
Corbusier per la filosofia comunitaria dell'industriale. Intanto la
ricerca sui calcolatori dà ottimi risultati e alla fine degli anni `50 l'Elea 9003 è il domani.
Ecco che l'idea di una fabbrica verde per il "Centro di calcolo" prende
corpo. Lo conferma un dattiloscritto: Ragioni che dispongono a favore dell'Arc. Le Corbusier per la progettazione del nuovo stabilimento elettronico. «Dal testo emerge chiaro come la filosofia di Le Corbusier sia stata fonte di ispirazione, dal 1936 in poi». Il 10 febbraio l'architetto scrive entusiasta a Olivetti.
Che muore 17 giorni dopo. Del sogno restano i disegni e molto
rammarico.