Il lancio del primo Sputnik nel 1957 suscitò una grande impressione,
tanto che l’impresa venne salutata da Hannah Arendt come “un vero
spartiacque nella vicenda della modernità: il momento in cui gli uomini
avevano cominciato a pensare di poter fare a meno del proprio pianeta”.
In realtà questo non avvenne, perché la Luna rimaneva un corpo
oggettivato: Körper, in termini fenomenologici. Un oggetto dato,
incapace di modificare il nostro rapporto con l’esperienza e quindi di
farsi soggetto di esperienza, matrice costituente. Il luogo della nostra
vita continuava a essere la Terra che, per questa ragione, non poteva
essere trattata semplicemente come un Körper, un’alterità inerte,
essendo suolo (Boden) della nostra esperienza. Proprio questo suolo, che
non può mai essere completamente oggettivato, che partecipa attivamente
ai processi di costituzione dell’esperienza, è alla base
dell’esperienza paesaggistica, che continua a essere essenzialmente
terrestre.
Nel suo Imparare dalla Luna (Quodlibet) Stefano Catucci non si limita
però a descrivere lo status quo, ma rileva anche, con lucidità, senza
scivolare nei toni della nostalgia, le opportunità mancate. Perché la
Luna, anche grazie a un particolare tipo di fotografie, dette Earthrise,
che pongono il nostro satellite naturale non in una condizione di
isolamento, ma di relazione con la terra, avrebbe potuto candidarsi a
diventare Boden. La Luna come orizzonte, capace di inaugurare una nuova
prospettiva dello sguardo. Le immagini di tipo Earthrise fanno
intravedere la possibilità di “avviare la Luna verso l’integrazione in
un’esperienza paesaggistica”. Ma presto questa opportunità perde
consistenza, parallelamente alla perdita d’interesse nei confronti della
Luna, che, anche a causa di processi di domesticazione e di progressiva
riduzione della sua peculiare alterità, diviene sempre meno attraente
agli occhi dei terresti.
Prende in fretta il sopravvento un altro tipo d’immagine, The Blue
Marble, in cui la Terra appare isolata e, grazie all’illuminazione
favorevole, liscia e perfetta come una “biglia blu”. Si potrebbe anche
dire “inerme” come una biglia blu: privata di qualsiasi riferimento, la
Terra appare simile a un maestoso e irrelato monumento, senza memoria e
senza vita. Niente di più simile a un Körper. Non stupisce che un
oggetto con questa “precisione estetica e informativa” si sia prestato a
divenire l’oggetto d’indagine privilegiato degli studi naturalistici e
scientifici. Catucci va oltre e introduce un tema tanto interessante
quanto trascurato: la priorità che è stata accordata alla natura sul
paesaggio, alla coscienza ecologica e ambientale rispetto a quella
paesaggistica. Spesso anche per una radicata scorrettezza terminologica,
che tende a non distinguere i termini. Non è pedanteria accademica,
semplicemente natura e paesaggio non sono sinonimi: “La natura si fa
paesaggio quando partecipa alla costituzione di un’esperienza di senso,
collabora all’individuazione di un orizzonte, stimola un’autoriflessione
che, nella piccola o nella grande dimensione, prende la forma di una
meditazione sulla condizione umana…”.
Il trionfo di The Blue Marble su Earthrise rappresenta il trionfo di una
mentalità diffusa che tende a preservare i singoli elementi naturali e
artificiali, perdendo di vista l’importanza delle relazioni, delle
connessioni, del contesto. Un simile modo di vedere ha indubbiamente
favorito lo scadimento del paesaggio, con relativa perdita per il
soggetto delle possibilità di orientamento e di identificazione. Con le
parole dell’autore: “Earthrise si è collocata sul limite estremo di
un’illusione cosmopolita, universalista, coltivata in un sogno da cui
The Blue Marble ci ha risvegliato riportandoci alla realtà delle minacce
alle quali è esposto il nostro pianeta per diventare quell’icona della
nuova sensibilità ecologica che Earthrise, invece, non poteva
diventare”. “Imparare dalla luna” significa dunque non arrendersi alla
semplificazione, alla riduzione delle proprietà che sfuggono la
possibilità di essere quantificate. Significa scegliere di preservare la
complessità, la ricchezza, la relazionalità e acquisire coscienza della
potenza vitale di queste dimensioni. Il rischio, altrimenti, è di fare
come i mendicanti di Ernst Jünger, che camminano ignari in mezzo a una
bellezza inesauribile.