Ad andare nello spazio e a sbarcare sulla Luna nel prossimo futuro non saranno più uomini con tute recanti il logo della Nasa, l'ente statale americano, bensì ricchi uomini e donne spediti in orbita da missili targati Google, Apple, Facebook, super ricchi americani, indiani, cinesi, sudcoreani, in grado di comprare un biglietto per vedere dall'alto e da fuori il Pianeta Azzurro, ovvero la cara vecchia Terra. Presto ci sarà anche la possibilità di mettere piede sul satellite erinverdire le camminate di Neil Amstrong, il primo uomo che ha passeggiato tra le polveri eterne della Luna. La sua impronta, secondo gli scienziati, durerà almeno uno o due milioni di anni: più di un capolavoro pittorico, anche se la potranno vedere ben in pochi.
Chi sarà l'aedo della nuova stagione di viaggi spaziali, allunaggi, visite orbitali ai più lontani corpi spaziali, promossa dalle aziende private del computer e del web ? Nel 1970 Oriana Fallaci pubblicò uno dei suoi libri più belli, "Quel giorno sulla Luna", raccontando la personalità del trentanovenne Neil, con la sua faccia dominata da un nasino all'insù, dispettoso, e da una bocca a forma di salvadanaio, maligna, con il labbro superiore invisibile. La giornalista italiana fu seguita dopo nove anni da uno dei maestri del new journalism, Tom Wolfe, che in un reportage-romanzo, "La stoffa giusta", raccontò i primi astronauti lanciati nello spazio a partire dal 1961. Che razza di uomini mai erano? Preparati al ruolo di supereroi che andavano assumendo? Il caustico Wolfe appurò che non erano affatto dei superman, bensì uomini intrappolati in una maschera appiccicata loro dai mass media. Un libro che dovrà fare parte, con quello della Fallaci, del training di formazione per i ricchi che si lanceranno nelle orbite intorno ai pianeti del sistema solare.
Ma intanto a condurre una serrata analisi della Luna visitata dalle missioni Apollo, il più ambito, e forse più facile obiettivo di viaggio dei nuovi astronauti, è un filosofo, Stefano Catucci, che ha scritto "Imparare dalla Luna" (Quodlibet). Che i precedenti viaggiatori lunari siano stati dei tipi particolari, lo si capisce analizzando, come fa Catucci, ciò che essi hanno depositato sulla Luna in barba alle dettagliate istruzioni della Nasa. Ad esempio, fra le cose portate sul satellite da James B. Irwin, arrivato con Apollo 15, c'era l'immagine di un signore che lui neppure conosceva. Si trattava di un suo omonimo, l'aveva ricevuta per posta due mesi prima dello sbarco lassù. Nella lettera di accompagnamento la figlia gli parlava del desiderio del padre, morto a settantacinque anni, senza poter assistere al primo sbarco, di poter andare sulla Luna. Così l'altro Irwin, suo doppio, pensò di fare un gesto gentile realizzando il desiderio in forma vicaria. Vi aggiunse anche alcuni medaglioni, due piatti d'argento con le impronte digitali della moglie e dei bambini, e un frammento di roccia lavica. Charles Duke con il viaggio seguente, Apollo 16, portò con sé la fotografia della sua famiglia dentro una busta di cellophane. La lasciò accanto a un piccolo cratere dell'Altopiano Descartes, da lui denominato Cat dai nomi dei propri figli: Charles and Tom.
Catucci passa in rassegna molti degli oggetti portati clandestinamente dagli astronauti in barba ai regolamenti Nasa, e depositati come un ricordo sulla superficie della loro destinazione. Si tratta di ricordi famigliari o memorie di persone defunte, come oggetti di astronauti scomparsi in precedenza, ad esempio le mostrine di Clifton Williams. Alan Shepard, comandante del volo Apollo 14, veterano dei viaggi spaziali, di cui parla anche Tom Wolfe nel suo libro, irritò i vertici della agenzia spaziale tirando fuori dalla sua sacca di escursione lunare un ferro 6 e due palline da golf, grazie alle quali è diventato il primo giocatore sulla Luna. Sul pianeta non sono rimasti solo questi "ricordi" dei visitatori terresti, ma buona parte della loro attrezzatura: basi di allunaggio, rover, veicoli, strumenti. Secondo un primo calcolo ogni astronave in visita ha deposto al suolo circa 110 elementi, residui e rifiuti,come sacchi, zaini, tute, guanti, caschi, stivali, saponi, creando delle piccole discariche che si vedono anche nelle foto prese dagli astronauti. In un'istantanea catturata dall'Apollo 15 si scorgono i resti di un esperimento scientifico sparsi al suolo, con tanto di imballaggi scomposti e protezioni disperse all'intorno.