Recensioni / L'architettura degli spazi del lavoro

Il volume raccoglie alcuni contributi sul tema del progetto degli spazi del lavoro presentati in occasione di un convegno tenutosi a Venezia nel novembre del 2012, e affronta una serie di questioni di assoluto rilievo per le attività progettuali alle diverse scale: da quella del singolo edificio, sino a quella urbana, paesaggistica e territoriale. L’attuale crisi economica, sommandosi a processi di de-industrializzazione già in corso, pone infatti rinnovate questioni anche per le discipline che si occupano, nello specifico, dei luoghi dedicati al lavoro, intesi in senso onnicomprensivo.
Il volume è organizzato in tre parti. Le considerazioni richiamate nelle prime due, coordinate da Sara Marini e Alberto Bertagna, guardano al tema del progetto e alla trasformazione dei modelli architettonici dettata dal mutamento occorso al modello economico e all'organizzazione del lavoro; quelle proposte nella terza parte si focalizzano invece proprio su questioni di governo del territorio, assumendo come specifico campo di riflessione il Nord Est italiano.
La crisi ha infatti avuto delle ripercussioni anche su quello che, per diversi anni, è stato considerato un sistema vincente di piccola-media impresa organizzato in forma distrettuale e diffusa. Paradossalmente, se lo sviluppo di tale contesto è sorto in forma spontanea, frutto spesso di “non decisioni” dei diversi livelli istituzionali che lo hanno di fatto assecondato, la drammaticità della crisi attuale pone nuove questioni di regolazione, sostegno e indirizzo proprio alle attività di pianificazione pubblica del territorio.
Per Francesco Gastaldi, la crisi avrebbe effettivamente generato una nuova domanda di governo del territorio legata a questioni di dismissione di capannoni e destinazioni d'uso obsolete, riconoscendo tuttavia una certa difficoltà, da parte della cultura e della pratica urbanistica locale, a ripensare complessivamente il modello di sviluppo prevalente. Anche dal punto di vista della competitività del sistema, è più che mai indispensabile un indirizzo pubblico che sappia sostenere le imprese nelle sfide poste dall'internazionalizzazione e dalla competizione globale.
Michelangelo Savino sostiene come il “malfunzionamento” del modello Nord Est sia in realtà l’esito di una più generale (ma assolutamente non recente) incapacità di riconoscere, trattare e gestire i problemi e le dinamiche di sistema. Gli effetti sono facilmente osservabili, con crescenti costi economici, ambientali e sociali prodotti dagli insediamenti produttivi disseminati sul territorio, dalla diffusione di residenze e servizi, dalla congestione del traffico e dal deficit infrastrutturale. In linea con quanto riportato da Gastaldi, anche per Savino è la cultura urbanistica locale a dimostrare una certa inerzia al cambiamento. Nonostante infatti le retoriche politiche e le evidenze di un preoccupante sottoutilizzo di volumi e superfici, la strumentazione urbanistica continua a riproporre, in molti casi, vecchie logiche di sviluppo fondate sull'incremento quantitativo di nuove costruzioni.
Ai fini di un concreto cambio di direzione, le misure auspicabili sono di diverso tipo: la riduzione delle espansioni quantitative degli insediamenti, la ri-organizzazione del costruito in connessione al potenziamento del sistema infrastrutturale, la messa in sicurezza del territorio e la valorizzazione delle risorse paesaggistico-ambientali. Come si può intuire, tali azioni rientrano a tutti gli effetti in quella che è possibile considerare una pianificazione “ordinaria” del territorio: il nuovo modello dovrebbe dunque partire da una rinnovata e corretta applicazione di principi e strumenti già comunque esistenti.
Considerando più nello specifico le dinamiche economiche, Giancarlo Corò avvalora l’ipotesi che la crisi attuale si sommi, nel Nord Est, a processi di ristrutturazione industriale e riposizionamento competitivo iniziati da oltre un quindicennio. Tuttavia, egli ne offre una lettura meno pessimista. Il “capitalismo imprenditoriale” dell'area, modello sociale di produzione fondato su una pluralità di attori economici che si assumono il rischio delle innovazioni, avrebbe infatti garantito una certa “reattività” di fronte alle sfide competitive. Si possono infatti individuare esempi di sperimentazioni di nuovi percorsi di innovazione: la ricerca di una maggiore qualità, autenticità, creatività e differenziazione nei prodotti manifatturieri, artigianali, legati alla produzione agro-alimentare e alle attività turistiche e del tempo libero, innovazioni tecnologiche nei prodotti industriali, maggiore internazionalizzazione. Corò propone infine degli scenari economici che si fondano su tre frontiere del cambiamento, già oggi rilevanti e dinamiche nella produzione di valore aggiunto nel Nord Est, e che al contempo esprimono un rinnovato e maturo legame col territorio.
La riflessione di Stefano Micelli ruota invece attorno al ruolo del lavoro artigiano nell'economia globale, sottoposto, negli ultimi anni, a un complessivo processo di rivalutazione culturale. In particolare, l’autore si sofferma sul contributo qualitativo offerto dai mestieri artigianali alla competitività dell’intero sistema produttivo italiano. Nello scenario attuale, egli individua poi un nuovo soggetto leader nato a seguito dei processi di riorganizzazione e internazionalizzazione del modello distrettuale tradizionale. É la media impresa italiana, che ha saputo adoperare e valorizzare, a scala globale e grazie a opportune attività manageriali, proprio le competenze artigianali di tipo tradizionale.
Il contributo di Laura Fregolent riporta la riflessione sulle caratteristiche spaziali del modello insediativo veneto, in particolare sulle sue più recenti trasformazioni. Negli anni, la “città diffusa” ha progressivamente conosciuto un assestamento nei fenomeni di dispersione, con una prevalenza di processi di compattazione intorno ai centri urbani (anche di piccole dimensioni) e la comparsa di nuove grandi operazioni immobiliari, a uso misto e in aree agricole, localizzate lungo le principali infrastrutture. Il rallentamento del settore edilizio richiede tuttavia un ripensamento di tali modalità di espansione e sviluppo, e una riflessione sulla capacità della pianificazione di indirizzare le azioni di trasformazione sul recupero del patrimonio immobiliare esistente dismesso o non utilizzato. Per l'autrice, le occasioni di rinnovo delle attività di pianificazione non mancano, sia con riferimento alle disposizioni normative che agli strumenti. Ciò che pare prioritario ripensare è dunque l'approccio (una guida pubblica forte e strategica) e la scala sovra-locale di intervento, che sia capace cioè di gestire le diverse trasformazioni sulla base di un qualche disegno d'insieme.
Conclude il volume una riflessione di Marco Ferrari sulle occasioni e le opportunità, per le discipline progettuali alle diverse scale, offerte dalla presenza di aree e immobili produttivi sottoutilizzati e dismessi. Per l’autore, nei contesti a urbanizzazione diffusa, qualsiasi intervento di “qualificazione” delle aree produttive dismesse non può ridursi a una semplice operazione di riempimento dei vuoti; esso deve guardare, più complessivamente, alla ri-organizzazione degli spazi aperti, del verde pubblico, nonché a processi di rinaturalizzazione e riconversione produttiva anche verso l'attività agricola.